Dominus Est !

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..Et unam, sanctam, cathólicam et apostólicam Ecclésiam!


    Concilio di Basilea – Ferrara – Firenze – Roma

    Stephanos
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:37 am

    [E,segue il simbolo Atanasiano, che inizia con le parole: Chiunque vuole salvarsi...]

    Settimo, diamo ad essi il decreto d'unione coi Greci, già promulgato in questo sacro concilio ecumenico fiorentino.

    Esso inizia con le parole: Si rallegrino i cieli...

    Ottavo. Tra le altre cose si è anche disputato con gli armeni in quali giorni debbano celebrarsi le festività dell'annunciazione della beata vergine Maria, della natività di S. Giovanni Battista, e, conseguentemente, della natività e circoncisione del signore nostro Gesù Cristo e della sua presentazione al tempio, cioè della purificazione della beata vergine Maria; ed è stata dimostrata abbastanza chiaramente la verità, sia con le testimonianze dei santi padri, che con l'uso della chiesa romana e di tutte le altre sia latine che greche.

    Perché, dunque, nella celebrazione di cosi grandi solennità il rito dei cristiani non sia diverso e non si dia occasione di turbare la carità, stabiliamo, conforme alla verità e alla ragione, che, secondo l'uso di tutto il resto del mondo, anche gli Armeni debbano solennemente celebrare la festa dell'annunciazione della beata vergine Maria il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circoncisione, il primo gennaio; l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, cioè la purificazione della madre di Dio, il 2 febbraio.

    Spiegate tutte queste cose, i predetti ambasciatori degli Armeni, a nome proprio, del loro patriarca, e di tutti gli Armeni, accettano, ricevono e abbracciano con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale, con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti ed ogni dottrina in esso contenuta e tutto quello che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.

    I dottori, inoltre, e santi padri che la chiesa romana approva, li approvano anch'essi con riverenza: Qualsiasi persona, e qualunque cosa essa disapprova e condanna, la considerano riprovata e condannata anch'essi. E promettono, come veri figli d'obbedienza di obbedire agli ordini e ai comandi della sede apostolica.

    Letto, poi, solennemente alla presenza nostra e di questo santo sinodo il decreto suddetto, subito il diletto figlio Narsete, armeno, a nome degli stessi ambasciatori lesse nella lingua armena, pubblicamente, quanto segue: e il diletto figlio Basilio, dell'ordine dei Minori, comune interprete nostro e degli Armeni, lo lesse immediatamente dallo Scritto, in pubblico, nella lingua latina, in questo modo:

    Beatissimo padre e santissimo sinodo, tutto questo santo decreto, ora letto pubblicamente in latino alla vostra presenza, ci è stato esposto e tradotto ieri nella nostra lingua, parola per parola; e ci è piaciuto e ci piace sommamente. Per una più chiara espressione del nostro pensiero, ne ripetiamo sommariamente il suo contenuto.

    In esso si dice: primo, che consegnate al nostro Popolo armeno, perché almeno nelle domeniche e nelle maggiori festività si debba leggere o cantare, durante la messa, nelle nostre chiese, il santo simbolo costantinopolitano con l’aggiunta del Filioque.

    Secondo, la definizione del quarto concilio universale di Calcedonia, sulle due nature nell'unica persona del Cristo.

    Terzo, la definizione delle due volontà ed operazioni di Cristo, promulgata nel sesto concilio universale.

    Quarto, voi dichiarate che lo stesso sinodo di Calcedonia e il beatissimo papa Leone hanno definito rettamente la verità delle due nature in una sola persona nel Cristo, contro le empie asserzioni di Nestorio e Eutiche. E comandate che veneriamo lo stesso beatissimo Leone come santo e colonna della fede e che non accettiamo solo questi tre sinodi: Niceno, Costantinopolitano, Elesino primo, ma che riconosciamo con riverenza anche tutti gli altri sinodi universali, celebrati per autorità del romano pontefice.

    Quinto, una breve esposizione dei sette sacramenti della chiesa: battesimo, cresima, cucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio, dichiarando quale sia la materia, la forma, e il ministro di ciascun sacramento; e che nel sacrificio dell'altare, quando si offre il vino, vi si debba

    mischiare un po' d'acqua.

    Sesto, un breve riassunto della regola della fede: quello del beatissimo Atanasio, che comincia: Chi vicolo salvarsi...

    Settimo, il decreto dell'unione conclusa con i Greci, promulgato già in questo santo concilio, in cui si spiega come lo Spirito santo procede ab eterno dal Padre e dal Figlio, e come l'aggiunta del Filioqtte al simbolo costantinopolitano è stata fatta lecitamente e ragionevolmente. Che il corpo del Signore viene consacrato nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato; e che cosa bisogna credere delle pene del purgatorio e dell'inferno, della vita beata e dei suffragi che si fanno per i defunti. Cosi pure della pienezza del potere della sede apostolica, trasmessa da Cristo al beato Pietro e ai suoi successori, e dell'ordine delle sedi patriarcali.

    In ottavo luogo, stabilito che per il futuro gli Armeni debbano celebrare le seguenti festività, nei giorni indicati sotto, come tutto il resto della chiesa universale e cioè: l'annunciazione della beata vergine Maria, il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circonci-sione, il primo gennaio, l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, o purificazione della beata Maria, il 2 febbraio.

    Noi ambasciatori, quindi, a nome nostro, del nostro reverendo patriarca e di tutti gli Armeni, come anche la santità vostra attesta nello stesso decreto, accettiamo, accogliamo, e abbracciamo con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, e tutta la dottrina in esso contenuta ed inoltre, tutto ciò che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.

    Accettiamo anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; mentre consideriamo riprovata e condannata qualsiasi persona e qualsiasi cosa che la stessa chiesa romana riprova e condanna, dichiarando, come veri figli d'obbedienza di obbedire fedelmente agli ordini e ai comandi della stessa sede apostolica.
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:38 am

    SESSIONE XI (4 febbraio 1442)

    (Bolla di unione dei copti).

    Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

    Cantate al Signore, perché ha fatto cose magnifiche: annunziatelo per tutta la terra. Godi e lodalo, abitante di Sion, perché è grande, in mezzo a te, il santo di Israele (85). E’ davvero giusto che la chiesa di Dio canti e si rallegri nel Signore per questo grande splendore e gloria del suo nome, che Dio clementissimo si è degnato di compiere oggi. Conviene, infatti, lodare e benedire con tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno accresce la sua santa chiesa con nuove aggiunte. E quantunque sempre i suoi benefici verso il popolo cristiano siano molti e grandi, - ed essi ci dimostrano più chiaramente della luce la sua immensa carità verso di noi - tuttavia, se consideriamo più attentamente quali meraviglie in questi ultimissimi tempi la divina clemenza si è degnata operare, dovremo certamente costatare che i doni del suo amore sono stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte altre età passate.

    Ecco, infatti, che in meno di un triennio il signore nostro Gesù Cristo con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo ecumenico, la salutarissima unione di tre grandi nazioni, a comune, perenne gaudio di tutta la cristianità; per cui quasi tutto l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del settentrione, dopo Lunghi dissidi, condividono con la santa chiesa romana lo stesso vincolo di fede e di carità.

    Prima, infatti, si sono uniti alla sede apostolica i Greci e quelli che dipendono dalle quattro sedi patriarcali, che comprendono molte genti e nazioni e lingue; poi gli Armeni, gente dai molti popoli; oggi, i Giacobiti, grandi popoli dell'Egitto.

    E poiché niente potrebbe esser più grato al nostro Salvatore e signore Gesù Cristo della mutua carità, e niente più glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa che i cristiani, rimossa tra loro ogni divisione, convengano nella stessa fede, giustamente noi tutti dobbiamo cantare dalla gioia e giubilare nel Signore; noi, che la divina misericordia ha fatto degni di vedere in questi tempi tanta magnificenza della fede cristiana.

    Annunziamo, quindi, con animo gioioso queste meraviglie in tutto il mondo cristiano, perché, come noi per la gloria di Dio e l'esaltazione della chiesa siamo stati inondati da ineffabile gaudio, cosi anche gli altri partecipino di tanta letizia; e tutti, ad una sola bocca, magnifichiamo e lodiamo Dio (86) e rendiamo, com'è giusto, grandi grazie, ogni giorno, alla sui maestà per tanti e cosi mirabili benefici concessi in questa età alla sua chiesa.

    E poiché, inoltre, chi compie l'opera di Dio diligentemente, non solo deve aspettarsi il compenso e la retribuzione nei cieli, ma merita anche una grande gloria e lode presso gli uomini, crediamo che il venerabile fratello nostro Giovanni, patriarca dei Giacobiti, che ha tanto desiderato questa santa unione, a buon diritto debba esser lodato da noi e da tutta la chiesa e innalzato e giudicato degno, con tutta la sua gente della comune benevolenza di tutti i cristiani.

    Egli, sollecitato per mezzo di un nostro inviato e di lettere, perché mandasse una legazione a noi e a questo sacro concilio e si unisse con la sua gente a questa sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e allo stesso sinodo il diletto figlio Andrea, egiziano, abate del monastero di S. Antonio in Egitto, nel quale si dice che abbia dimorato e sia morto lo stesso S. Antonio, noto per la sua pietà e i suoi costumi. E, acceso di zelo per la religione, gli impose e gli ordinò di accettare con riverenza, a nome del patriarca e dei suoi Giacobiti, la dottrina di fede che professa e predica la santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e ai Giacobiti, perché potessero conoscerla e approvarla e predicarla nelle loro regioni.

    Noi, quindi, incaricati dalla vocedel Signore di pascere le pecore del Cristo (87) abbiamo fatto esaminare diligentemente questo abate Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli della fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza; e alla fine, esposta allo stesso abate - per quanto necessario - la fede cattolica della santa chiesa romana, da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo affidato, nel nome del Signore, la dottrina che segue, vera e necessaria.
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:39 am

    In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla voce del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e predica un solo, vero Dio, onnipotente, incommutabile, eterno: Padre, Figlio e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone; Padre, non generato, Figlio, generato dal Padre, Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figlio; crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non è il Padre o lo Spirito Santo che lo Spirito santo non è il Padre o il Figlio; ma che il Padre è solo Padre, il Figlio, solo Figlio, lo Spirito santo, solo Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio e tutto nello Spirito santo; il Figlio è tutto nel Padre e tutto nello Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio. Nessuno precede l'altro per eternità, o lo sorpassa in grandezza, o lo supera per potenza: è eterno, infatti, e senza principio che il Figlio ha origine dal Padre; ed eterno e senza principio, che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. Tutto quello che il Padre è od ha, non lo ha da un altro, ma da sé; ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è od ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è od ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme; ma il Padre ed il Figlio non sono due principi dello Spirito santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre principi della creatura, ma un solo principio.

    Essa condanna, perciò, riprova e anatematizza tutti quelli che credono diversamente e contrariamente e li dichiara solennemente estranei al corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna, quindi, Sabellio, che confonde le persone e toglie del tutto la distinzione reale di esse; condanna gli Ariani, gli Eunomiani, i Macedoniani, che affermano che solo il Padre è vero Dio, e collocano il Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle creature. Condanna anche qualunque altro, che ponga dei gradi o l'ineguaglianza nella Trinità.

    Crede fermissimamente, ritiene e predica che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature, spirituali e materiali: buone, naturalmente, perché hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, erché fatte dal nulla; ed afferma che non vi è natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.

    Essa confessa che un solo, identico Dio è autore dell'antico e dei nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, e del Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno parlato sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Essa accetta e venera i loro libri, che sono indicati da questi titoli: I cinque di Mosè, cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i 4 dei Re, i 2 dei Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester Giobbe, Salmi di David, Parabole, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, i 12 Profeti minori, e cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i 2 dei Maccabei, i 4 Evangeli: di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni; le 14 lettere di S. Paolo: ai Romani, le 2 ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, le 2 ai Tessalonicesi, ai Colossesi, le 2 a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; le 2 di Pietro, le 3 di Giovanni; 1 di Giacomo; 1 di Giuda; gli Atti degli Apostoli, e l'Apocalisse di Giovanni. Essa anatematizza, quindi, la pazzia dei Manichei, che ammettevano due primi principi, uno delle cose visibili, l'altro delle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo Testamento, altro quello dell'antico. Crede fermamente, professa e predica che una delle persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi, stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto la vera e completa natura umana nel seno immacolato della vergine Maria per la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé questa natura in una unità personale cosi stretta, che tutto quello che è di Dio non è separato dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e l’altra natura con le sue proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio dell'uomo; uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità; immortale ed eterno, per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto. Crede fermamente, professa e predica che il Figlio di Dio è veramente nato dalla Vergine, nell'umanità che ha assunto; che in essa ha veramente sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà alla fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti. Essa anatematizza, quindi, detesta e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste.

    E prima di tutti condanna Ebione, Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Fotino e tutti quelli che proferiscono simili bestemmie, i quali, non riuscendo a comprendere l'unione personale dell'umanità col Verbo, negano che Gesù Cristo, nostro Signore, sia vero Dio e lo ritennero semplice uomo: un uomo, cioè che per una più intensi partecipazione alla grazia divina - che avrebbe ricevuto per merito di una vita più santa - sarebbe detto uomo divino.
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:39 am

    Anatematizza anche Manicheo con i suoi seguaci, i quali fantasticando che il Figlio di Dio non ha assunto un corpo vero, ma apparente, annullarono del tutto, nel Cristo, la verità dell'umanità. Ed inoltre Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha ricevuto nulla dalla Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste e che è passato per il seno della Vergine, proprio come l'acqua scorre attraverso un acquedotto. Ed Ario, il quale afferma che il corpo assunto dalla Vergine non avesse l'anima e pone al posto di essa la divinità. Ed Apollinare, il quale, ben comprendendo che, se si negasse che l'anima informa il corpo, non potrebbe più parlarsi nel Cristo di vera umanità, pone in lui solo l'anima sensitiva e, quindi, la deità del Verbo sostituirebbe l'anima razionale.

    Anatematizza anche Teodoro di Mopsuestia e Nestorio, i quali affermano che l'umanità è unita al Figlio di Dio per mezzo della grazia, e che quindi in Cristo vi sono due persone, come ammettono esservi due nature. Essi non riuscirono a comprendere che l'unione dell'umanità col Verbo è ipostatica, e negarono, quindi, che essa abbia avuto la sussistenza del Verbo. Secondo questa bestemmia, infatti, il Verbo non si è fatto carne, ma per mezzo della grazia ha abitato ne a carne e cioè non il Figlio di Dio si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato nell'uomo.

    Anatematizza pure, detesta e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo la bestemmia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola persona per la divinità e per l'umanità. Non potendo però capire l'unità della per- sona, stante la pluralità delle nature, e quindi, che in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima dell'unione vi fossero due nature, ma che esse nell'assunzione si fossero trasformate in una sola natura, ammettendo, con orrenda bestemmia e somma empietà, che o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità nella umanità. Anatematizza ancora, detesta e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili. Questi, non ostante che avesse una giusta opinione delle due nature e dell’unità della persona, errò tremendamente, però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle due nature, in Cristo, una sola era l'operazione e la volontà.

    La sacrosanta chiesa romana li condanna tutti questi con le loro eresie, e afferma che in Cristo due sono le volontà e due le operazioni. Crede fermamente, professa e insegna che nessuno, concepito dall'uomo e dalla donna, sia stato mai liberato dal dominio del demonio, se non per la fede in Gesù Cristo, nostro Signore, mediatore tra Dio e gli uomini (88). Questi, concepito, nato e morto Senza peccato, ha vinto da solo il nemico del genere umano cancellando i nostri peccati con la sua morte, ed ha riaperto l'ingresso al regno celeste, che il primo uomo col suo peccato aveva perduto con tutti i suoi successori. Tutti i santi sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico Testamento prefigurarono che egli un giorno sarebbe venuto.

    Crede fermamente, conferma e insegna che le prescrizioni legali dell'antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, santi sacrifici e sacramenti proprio perché istituite per significare qualche cosa di futuro, benché fossero adeguate al culto divino in quella età, venuto,

    però, nostro signore Gesù Cristo, da esse significato, sono cessate e sono cominciata i sacramenti della nuova alleanza. Chiunque avesse riposto in quelle la sua speranza e si fosse assoggettato ad esse anche dopo la passione, quasi fossero necessarie alla salvezza e la fede nel Cristo non potesse salvare senza di esse, pecca mortalmente. Non nega, tuttavia, che dalla passione di Cristo fino alla promulgazione evangelica, esse potessero osservarsi, senza pensare con ciò minimamente che fossero necessarie alla salvezza. Ma da quando è stato predicato il Vangelo, esse non possono più osservarsi, pena la perdita della salvezza eterna.

    Essa, quindi, dichiara apertamente che, da quel tempo, tutti quelli che osservano la circoncisione, il sabato e le altre prescrizioni legali, sono fuori della fede di Cristo, e non possono partecipare della salvezza eterna, i meno che non si ricredano finalmente dei loro errori. Ancora, comanda assolutamente a tutti quelli che si gloriano del nome di cristiani, che si deve cessare dal praticare la circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, che v si confidi o meno, non si può in nessun modo praticarla senza perdere la salvezza eterna.

    I bambini - dato il pericolo di morte, che spesso vi può essere - non possono essere aiutati se non col sacramento del battesimo, che li sottrae al dominio del demonio e in forza del quale sono adottati come figli di Dio. Essa ammonisce che il ]Battesimo non deve essere differito per quaranta od ottanta giorni o altro tempo, secondo l'uso di alcuni, ma deve essere amministrato quanto prima si può senza incomodo, con la precauzione che, in pericolo di morte, siano battezzati subito senza alcun ritardo, anche da un laico o da una donna, se mancasse il sacerdote, nella forma della chiesa, come più diffusamente viene esposto nel decreto per gli Armeni.

    Crede fermamente, confessa e predica che ogni creatura Dio è buona e niente dev'essere respinto quando è accettato con rendimento di grazie (89); poiché, secondo l'espressione del Signore non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo (90). E afferma che la differenza tra cibi puri e impuri della legge mosaica deve considerarsi cerimoniale e che col sopravvenire del Vangelo è passata e ha perso efficacia. Anche la proibizione degli apostoli delle cose immolate ai simulacri, del sangue e delle carni soffocate (91) era adatta al tempo in cui dai giudei e gentili, che prima vivevano praticando diversi riti e secondo diversi costumi, sorgeva una sola chiesa. In tal modo giudei e gentili avevano osservanze in comune e l'occasione di trovarsi d'accordo in un solo culto e in una sola fede in Dio, e veniva tolta materia di dissenso. Infatti ai Giudei per la loro lunga tradizione potevano sembrare abominevoli il sangue e gli animali soffocati, e poteva sembrare che i gentili tornassero all'idolatria col mangiare cose immolate agli idoli.

    Ma quando la religione cristiana si fu talmente affermata da non esservi più in essa alcun Giudeo carnale, ma anzi tutti d'accordo erano passati alla chiesa, condividendo gli stessi riti e cerimonie del Vangelo, persuasi che per quelli che sono puri ogni cosa è pura (92), allora venne meno la causa di quella proibizione, e perciò anche l'effetto. Essa dichiara, quindi, che nessun genere di cibo in uso tra gli uomini deve essere condannato, e che nessuno, uomo o donna, deve far differenza di animali, qualunque sia il genere di morte che abbiano incontrato, quantunque per riguardo alla salute del corpo, per l'esercizio della virtù, per la disciplina regolare ed ecclesiastica, molte cose, anche se permesso, possano e debbano non mangiarsi. Secondo l'apostolo, infatti, tutto è lecito, ma non tutto conviene 93.

    Crede fermamente, confessa e predica che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo pagani, ma anche Giudei o eretici e scismatici, possano acquistar la vita eterna, ma che andranno nel fuoco eterno, preparato per il demonio e per i suoi angeli (94), se prima della fine della vita non saranno stati aggregati ad essa; e che è tanto importante l'unità del corpo della chiesa, che solo a quelli che rimangono in essa giovano per la salvezza i sacramenti ecclesiastici, i digiuni e le altre opere di pietà, e gli esercizi della milizia cristiana procurano i premi eterni. Nessuno

    per quante elemosine abbia potuto fare, e perfino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo si può salvare, qualora non rimanga nel seno e nell'unità della chiesa cattolica.

    Accoglie, poi, approva e accetta il santo concilio di Nicea dei trecentodiciotto padri, raccolto ai tempi del beatissimo Silvestro, nostro predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo. In esso fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo autore, e fu definito che il Figlio è consustanziale e coeterno al Padre. Abbraccia anche, approva e accetta il santo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, convocato al tempo del beatissimo Damaso, nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che anatematizzò l'errore di Macedonio, il quale asseriva che lo Spirito santo non è Dio, ma una creatura. Quelli che essi condannano, li condanna, quello che approvano, approva; e intende che ciò clic in essi è definito, rimanga intatto ed inviolato in ogni sua prescrizione. Abbraccia anche, approva e accetta il santo primo concilio di Efeso, dei duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato sotto il beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il giovane. In esso fu condannata la bestemmia dell'empio Nestorio; fu definito che del signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo è una sola la persona, e che la beata Maria sempre vergine deve esser chiamata da tutta la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di Dio. Condanna, poi, anatematizza e respinge l'empio secondo concilio di Efeso, riunito

    sotto il beato Leone, nostro predecessore, e il suddetto principe. In esso Dioscoro, patriarca di Alessandria, difensore dell'eresiarca Eutiche ed empio persecutore di S. Flaviano, vescovo di Costantinopoli, trasse quel sinodo esecrando, con l'astuzia e con le minacce, ad approvare l'empietà eutichiana.

    Accoglie anche, approva e accetta il santo concilio di Calcedonia, quarto nella serie dei sinodi universali, dei sei- centotrenta padri, celebrato al tempo del predetto predecessore nostro Leone e dell'imperatore Marciano, nel quale fu condannata l'eresia eutichiana col suo autore Eutiche e con Dioscoro, suo difensore. Vi fu anche definito che Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio e vero uomo e che in una stessa identica persona sono rimaste integre, intatte, incorrotte, inconfuse, distinte la natura divina e la natura umana; in cui l'umanità operava quello che è proprio dell'uomo, la divinità, quello che è proprio di Dio. Quelli che esso condanna, li condanna anch'essa; quelli che approva, li approva anch'essa. Abbraccia pure, approva e accetta il santo quinto concilio, il secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato Vigilio, nostro predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu confermata la definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e un'unica persona in Cristo e furono riprovati e condannati molti errori di Origene e dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti la penitenza e la liberazione dei demoni e degli altri dannati.

    Abbraccia anche, approva e accetta il santo, terzo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, - sesto nella serie dei concili universali - celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e di Costantino, IV imperatore di questo nome, nel quale fu condannata l'eresia di Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù Cristo, nostro signore, vi sono due nature perfette ed integre, due operazioni, ed anche due volontà, benché in una sola persona, a cui competono le azioni dell'una e dell'altra natura, inquantoché la divinità compie quanto è proprio di Dio, l'umanità quello che è proprio dell'uomo.

    Abbraccia, approva e accetta anche tutti gli altri concili Universali legittimamente convocati, celebrati e confermati dall'autorità del romano pontefice, e specialmente questo santo concilio fiorentino, nel quale, tra le altre cose, è stata con- dotta a termine la santissima unione con i Greci e con gli Armeni, e sono stati emanati molti utilissimi insegnamenti riguardanti l'una e l'altra unione, completamente riferiti nei decreti promulgati su questi argomenti, il cui testo segue qui appresso. Si rallegrino i cieli... Lodato Dio...

    Ma poiché nel decreto per gli Armeni, riportato sopra, non è stata espressa la forma delle parole che la sacrosanta chiesa romana - confermata dalla dottrina e dall'autorità degli apostoli Pietro e Paolo - ha sempre usato nella consacrazione del corpo e del sangue del Signore, abbiamo creduto opportuno inserirla nel presente testo. Nella consacrazione del corpo del Signore essa usa questa formula: Questo è, infatti, il mio corpo. In quella del sangue, invece: Questo è il calice del mio sangue del nuovo ed eterno testamento, mistero della fede, che sarà versato per voi e per molti in remissione dei Peccati (95).

    Che poi il pane di frumento, usato per il sacramento, sia stato cotto quel giorno o prima, non ha proprio alcuna importanza: purché, infatti, rimanga la sostanza del pane, non c'è affatto da dubitare che dopo le predette parole della consacrazione del corpo, pronunciate dal sacerdote con intenzione adeguata, si trasforma subito nel vero corpo di Cristo.

    Poiché si dice che qualcuno non ammette le quarte nozze come se fossero condannate, perché non avvenga che si ponga il peccato dove non è, - e dato che, secondo l'apostolo, morto il marito, la donna è sciolta dal legame che a lui la stringeva ed ha la libertà di sposare, nel Signore, chiunque voglia (96), e non distingue se sia morto il primo, il secondo o il terzo, - dichiarando che si possono contrarre non solo seconde e terze nozze, ma anche quarte ed oltre, se nessun impedimento canonico le impedisce. Riteniamo tuttavia più degno di lode chi, astenendosi da altre nozze, rimanga nella castità, perché come crediamo che la verginità sia da preferirsi alla vedovanza, così una casta vedovanza è da preferirsi alle nozze, per lode e merito.

    Spiegate tutte queste cose, il suddetto abate Andrea, a nome del suo patriarca e suo proprio e di tutti i Giacobiti riceve e accetta con ogni devozione e riverenza questo saluberrimo decreto sinodale con tutte le sue prescrizioni, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, ogni dottrina contenuta in esso, e tutto quello che ritiene e insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana. E riceve anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; qualunque altra persona invece e cosa la stessa chiesa romana riprova e condanna, anch'egli la considera come riprovata e condannata. E, come vero figlio de l'obbedienza, a nome di quelli, di cui sopra, promette

    obbedire fedelmente e sempre agli ordini e ai comandi della sede apostolica.



    SESSIONE XIII (30 novembre 1444)
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:40 am

    (Bolla di unione dei Siri).

    Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

    In questi nostri tempi, la ineffabile clemenza della divina misericordia largisce alla sua santa chiesa molti e mirabili doni e molto più grandi di quanto potessimo chiedere o pensare, per cui vediamo la fede ortodossa dilatarsi e nuovi ppoli tornare di giorno n-i giorno all'obbedienza della sede apostolica e sentiamo rinnovarsi quotidianamente i motivi di gioia e di esultanza per noi e per tutti i fedeli di Cristo. Giustamente, quindi, siamo spinti a dire spessissimo ai popoli cristiani col profeta, nel giubilo: Venite, esultiamo nel Signore (97) manifestiamo la nostra letizia a Dio, nostra salvezza, perché grande è il Signore e degno di molta lode nella città del nostro Dio, nel suo santo monte (98).

    Il Signore, il quale non ha limiti nella sua onnipotenza e sapienza, ha sempre operato cose grandi e inscrutabili nella chiesa cattolica, che è la città di Dio, fondata sul monte santo (99) dell'autorità della sede apostolica e di Pietro, questo però, di particolarmente singolare e grande le ha concesso l'ineffabile provvidenza del suo fondatore: che la retta fede, la quale, sola, santifica e vivifica il genere umano, rimanga sempre, in quel monte santo, in una sola ed immutabile confessione della verità, e che i dissensi che nascono contro la chiesa dai vari modi terreni di sentire e che separano dalla solidità di quella pietra, tornando a quel monte siano sterminati e sradicati. Per cui i popoli e le nazioni, confluendo al suo seno, si trovano d'accordo con essa in una sola verità. Non è stato, certo, per i nostri meriti che l'immensità della divina bontà ci ha concesso di poter vedere questi doni di Dio, tanto grandi e eccelsi e cosi meravigliosi, ma per la sua benignità e degnazione. Dopo l'unione dei Greci nel sacro concilio ecumenico fiorentino - che sembravano in disaccordo con la chiesa romana su alcuni punti, - e dopo il ritorno degli Armeni e dei Giacobiti - che erano trattenuti da varie opinioni, ma che, abbandonato ogni dissenso, hanno convenuto nella stessa retta via della verità -, ecco ora, di nuovo, con l'aiuto del Signore, vengono da lontano altre nazioni, che abitano la Mesopotamia, fra il Tigri e l'Eufrate: esse, che non avevano una retta dottrina sulla processione dello Spirito santo e su altri punti.

    Grande, quindi, è il motivo di gioia per noi e per tutti i cristiani: poiché col favore di Dio la splendidissima professone della verità della fede della chiesa romana, che è sempre stata monda di ogni macchia di falsità, ha brillato anche in oriente, oltre i confini dell'Eufrate, con nuovi fulgori, tanto da attrarre e chiamare fino a questa alma città e alla nostra presenza e a quella di questo sacro concilio ecumenico Lateranense (100) il venerabile fratello nostro Abdalam, arcivescovo di Edessa, inviato del venerabile fratello nostro Ignazio, patriarca dei Siri e di tutta la sua nazione; il quale con umile devozione ha chiesto che noi dessimo loro la regola della fede, che la sacrosanta chiesa di Roma professa.

    Noi perciò, che fra tutte le preoccupazioni della santa sede apostolica abbiamo questa in cima a tutti i nostri pensieri, - come del resto sempre l'abbiamo avuta- difendere la verità del Vangelo e, sterminate le eresie diffondere e propagare il più largamente possibile la retta fede, abbiamo scelto alcuni dei nostri venerabili fratelli cardinali della santa chiesa romana, i quali, chiamati alcuni maestri in sacra scrittura da questo sacro concilio, trattassero con quell'arcivescovo delle difficoltà, dei dubbi e degli errori di quella nazione, lo esaminassero e gli esponessero l'insegnamento della verità cattolica, lo istruissero e lo informassero completamente della integrità della fede della chiesa romana.

    Essi hanno trovato che egli ha idee giuste su tutto quanto riguarda la fede e i costumi, meno che su tre punti: sulla processione dello Spirito santo, sulle due nature in Gesù Cristo, nostro salvatore, e sulle due volontà e operazioni in lui. Gli hanno spiegato la verità della fede ortodossa, chiarito l'intelligenza delle sacre scritture, adducendo le testimonianze dei santi dottori e portando anche quegli argomenti di ragione che la materia comporta.

    L'arcivescovo, compresa la loro dottrina, ha dichiarato pienamente superati tutti i suoi dubbi. Per quanto riguarda la processione dello Spirito santo e le due nature, volontà ed operazioni in Gesù Cristo, nostro signore, ha dimostrato di averne uni tale comprensione, da dar l'impressione di capire pienamente la verità della fede, e da promettere che a nome del patriarca, di tutta 1a nazione e suo, avrebbe accettato completamente la fede e la dottrina, che noi con l'approvazione di questo sacro concilio gli avremmo dato.

    Perciò, ricolmi di gioia in Cristo, rendiamo innumerevoli grazie al nostro Dio, perché vediamo adempiuto il nostro voto per la salvezza di quella nazione.

    Quindi, dopo averne trattato diligentemente coi nostri fratelli e col sacro concilio, abbiamo creduto bene trasmettere e prescrivere allo stesso arcivescovo la fede e la dottrina che professa la sacrosanta madre chiesa romana. Ed egli l'accetta, a nome delle persone già dette.

    Questa, dunque, è la fede che la sacrosanta madre chiesa romana ha sempre ritenuto, predicato, e insegnato e che al presente tiene, predica, professa e insegna. E’ questa dottrina che noi prescriviamo che l'arcivescovo Abdalam debba ricevere nei tre articoli, e custodire ed osservare per sempre, in futuro, a nome e in vece del suddetto patriarca dei Siri, di tutta quella nazione e suo.

    E prima di tutto, che lo Spirito santo è ab aeterno dal Padre e dal Figlio, che ha la sua essenza e l'essere sussistente dal Padre e dal Figlio insieme, e che procede eternamente dall'uno e dall'altro come da un solo principio e da un'unica spirazione. Ritiene, inoltre, professa e insegna "un solo e medesimo Figlio: i1 signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuti meno la differenza delle nature a causa delle loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo" (101).

    Crede, inoltre, professa ed insegna che nello stesso signore Gesù Cristo vi sono "due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri. Due volontà naturali, l'una divina, l'altra umana, che non sono in contrasto fra loro, ma tali che la volontà umana sia sottoposta alla divina e onnipotente sua volontà. Come, infatti, la sua santissima carne, immacolata e animata, sebbene deificata, non fu distrutta, ma rimase nel proprio stato e nel proprio modo d'essere, cosi la sua volontà umana, anche se deificata, non fu annullata, ma piuttosto salvata" (102).

    Noi disponiamo, dunque, che l'arcivescovo Abdalam, a nome di quelli che sono stati accennati sopra, debba accettare questa fede, crederla col cuore e professarla con la bocca. Ordiniamo, inoltre, e stabiliamo che, a nome degli stessi debba accettare ed abbracciare tutto quello che dalla

    sacrosanta chiesa romana è stato definito e stabilito lungo i secoli, specialmente i decreti dei Greci, degli Armeni e dei Giacobiti, promulgati nel sacro concilio ecumenico fiorentino, che noi, dopo che lo stesso arcivescovo Abdalam li ebbe letti accuratamente, - tradotti in arabo - e lodati, abbiamo fatto dare a lui, che li accettava a nome delle persone suddette, per una più profonda e più completa comprensione. Quei dottori, inoltre, e quei santi padri che approva e accetta la sacrosanta chiesa romana, egli, a nome dei suddetti, dovrà accettarli e approvarli; e, sempre a nome loro, dovrà considerare come condannate e riprovate tutte quelle persone e qualsiasi altra cosa - che essa condanna e riprova, promettendo, ancora, a nome di essi, come figlio d'obbedienza, di stare, devotamente, sempre e fedelmente agli ordini e alle disposizioni della sede apostolica. Ciò, con giuramento.
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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:40 am

    SESSIONE XIV (7 agosto 1445)

    (Bolla di unione dei Caldei e dei Maroniti di Cipro).

    Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

    Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo Padre delle Misericordie e Dio di ogni consolazione che (103) accompagna sempre più, con molti e grandi segni di benevolenza e con esito più felice di quanto noi meritiamo, i nostri voti e pii desideri, con i quali, per dovere del nostro ufficio pastorale, desideriamo la salvezza del popolo cristiano e la favoriamo, come ci viene concesso dall'alto, con opere continue.

    Realizzata, infatti, l'unione della chiesa orientale con l'occidentale nel concilio ecumenico fiorentino, dopo che gli Armeni, i Giacobiti e i popoli della Mesopotamia erano stati ricondotti all'obbedienza, inviammo il venerabile nostro fratello Andrea, arcivescovo di Colocia, in oriente e all'isola di Cipro, perché con la sua predicazione e con l'esposizione e la spiegazione dei decreti, emanati per la loro unione e per il loro ritorno all'obbedienza, egli confermasse nella fede ricevuta i Greci, gli Armeni e i Giacobiti che abitavano in quelle terre, e perché, secondo le nostre esortazioni ed ammonimenti, cercasse di ricondurre alla verità della fede quelli che avesse trovato appartenere ad altre sètte alieni dalla vera dottrina, seguaci di Nestorio o di Macario. Missione che egli eseguì con somma diligenza, con la sapienza e le altre virtù, di cui l'arricchì il donatore di ogni grazia, Dio.

    Cosi dopo varie e molteplici discussioni, tolse finalmente dal loro cuore prima ogni impura dottrina di Nestorio, - che asseriva Cristo essere un semplice uomo, e la beatissima Vergine non la madre di Dio, ma la madre di Cristo -; poi di Macario d'Antiochia, uomo di somma empietà, - il quale, pur ammettendo che Cristo è vero Dio e vero uomo, tuttavia, detraendo troppo all'umanità, riteneva che in lui vi fosse solo la volontà e l'operazione divina. Quindi con l'aiuto di Dio egli converti i nostri venerabili fratelli Timoteo, metropolita dei Caldei, che nell'isola di Cipro erano chiamati nestoriani perché seguivano Nestorio ed Elia, vescovo dei Maroniti, che nello stesso regno era contaminato con tutta la sua nazione dalle dottrine di Macario, e che egli riportò alla verità della fede ortodossa nell'isola di Cipro, a lui soggetta, con tutto il popolo e i chierici. A questi presuli e a tutti quelli che in quelle parti erano loro soggetti, egli trasmise la fede e la dottrina che la chiesa sacrosanta ha sempre coltivato e osservato; ed essi l'accolsero con somma vene- razione, in un pubblico e solenne raduno di popoli delle diverse nazioni del regno, tenuto nella chiesa metropolitana di Santa Sofia.

    Fatto ciò, i Caldei mandarono fino a noi il suddetto Timoteo, loro metropolita; Elia, invece, vescovo dei Maroniti, ci mandò un inviato, perché facessero la solenne professione, e dinanzi a noi, in questa sacra congregazione generale del concilio ecumenico lateranense, il metropolita Timoteo, per primo, con riverenza e devozione, fece la professione della fede e dottrina nella sua lingua caldea tradotta in greco, e poi dal greco in latino, in questo modo.

    "Io Timoteo, arcivescovo Tarsense, metropolita dei Caldei di Cipro, prometto per me e per tutti i miei popoli e mi impegno solennemente dinanzi a Dio immortale, Padre, Figlio e Spirito santo, e dinanzi a te, santissimo e beatissimo padre, Eugenio IV papa, e a questa sacrosanta apostolica sede e a questa santa e venerabile congregazione, che per l'avvenire sarò sempre sotto la tua obbedienza, dei tuoi successori e della sacrosanta chiesa romana, in quanto unica madre e capo di tutte le altre.

    Ed inoltre, che in avvenire riterrò sempre e professerò che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, come insegna la santa chiesa romana.

    Similmente, che in avvenire crederò sempre ed approverò due nature, due volontà, una ipostasi e due operazioni in Cristo.

    Che in avvenire confesserò e approverò sempre tutti e sette i sacramenti della chiesa romana, come essa li crede, li insegna, li predica.

    Che in avvenire non aggiungerò olio nella santa eucarestia.

    Che in avvenire, riterrò, confesserò, predicherò e insegnerò sempre tutto ciò che ritiene, confessa, insegna e predica la sacrosanta chiesa romana; e che tutto quello che essa riprova, anatematizza e condanna, lo riprovo, lo anatematizzo e lo condanno anch'io e lo riproverò e lo anatematizzerò e lo condannerò sempre anche in futuro, specialmente le empietà e le bestemmie dell'iniquissimo eresiarca Nestorio, ed ogni altra eresia, che si manifesti contro questa santa, cattolica e apostolica chiesa.

    Onesta è la fede, padre santo, che io faccio voto e prometto di tenere e di osservare e di far tenere e osservare da tutti i miei sudditi; e prometto anche, assicuro e faccio voto di privare di tutti i beni e di tutti i benefici chiunque la re- spinga o si eriga contro di essa e di scomunicarlo e di dichiararlo eretico e condannato, e, se fosse ostinato, di degradarlo e consegnarlo al braccio secolare".

    Professione del tutto simile fece, con molta venerazione, il diletto figlio in Cristo Isacco, nunzio del nostro venerabile fratello Elia, vescovo dei Maroniti, in sua vece e a suo nome, riprovando l'eresia di Macario dell'unica volontà in Cristo.

    Per queste professioni e per la salvezza di tante anime, rendiamo infinite grazie a Dio e al signore nostro Gesù Cristo, che si degna di dare in questi nostri tempi un incremento cosi grande alla fede e tanti benefici ai popoli cristiani. Accettiamo e approviamo tali professioni. Riceviamo il metropolita e il vescovo di Cipro e i loro sudditi nel grembo della santa madre chiesa, e, se rimarranno nella fede, nell'obbedienza e nella devozione, concediamo loro grazie e privilegi; e specialmente: che nessuno, in seguito, osi chiamare eretici il metropolita dei Caldei, il vescovo dei Maroniti, e i loro. chierici e popoli, o qualcuno di essi; o in seguito, chiamare i Caldei nestoriani. E se qualcuno credesse di poter disprezzare questa nostra disposizione, comandiamo che questi sia scomunicato dal suo ordinario, per tutto il tempo che differirà di riparare degnamente o che sia punito con qualche altra pena temporale, a giudizio dell'ordinario.

    Cosi pure che il metropolita e il vescovo e i loro successori, per quanto riguarda qualsiasi onore, siano preferiti ai vescovi che sono separati dalla comunione della santa chiesa romana.

    Che in avvenire possano sottoporre a censura i loro sudditi, e che quelli che essi avranno legittimamente scomunicato debbano considerarsi scomunicati da tutti, e quelli che avranno assolto, per assolti.

    Che essi, i loro sacerdoti e i loro chierici possano celebrare liberamente nelle chiese dei cattolici e i cattolici nelle loro chiese.

    Che i suddetti presuli e i loro sacerdoti e chierici e laici dell'uno e dell'altro sesso, che abbiano accettato questa unione e questa fede, possano scegliere il luogo della loro sepoltura nelle chiese dei cattolici e contrarre matrimoni con cattolici - secondo il rito dei Latini, tuttavia - e godere ed usufruire di tutti quei benefici, immunità e libertà di cui godono gli altri cattolici, sia chierici che laici, in quel regno.


    --------------------------------------------------------------------------------

    NOTE


    (1) Cfr. Mt 13, 24-30.
    (2) Cfr. Gv 15, 1-2.
    (3) Eugenio IV aveva preso l'iniziativa il 12 novembre 1432 e di nuovo il 18 dicembre successivo di inviare a Basilea una bolla "Quoniam alto" con la quale disponeva il trasferimento del concilio a Bologna.
    (4) Cfr. Lc 1, 78
    (5) Cfr. Ct 6, 8
    (6) Nm 16
    (7) Cfr. At 20, 28
    (Cool Gc 1, 17
    (9) Cfr. Tt 1, 7-9
    (10) Cfr. Lc 1, 78
    (11) Cfr. Ez. 3, 18 e 20
    (12) Cfr. Mt 5, 26
    (13) Concilio di Costanza
    (14) Cfr. sal 54, 23; I Pt 5, 7
    (15) Sal 135, 4
    (16) Cfr. Lc 1,78
    (17) Cfr. Pr 26, 11; II Pt 2, 22.
    (18) Cfr. I Cor 7, 9
    (19) Fil 2, 10
    (20) Sal 94, 1
    (21) Sir 18, 23
    (22) Cfr. Is 56, 7: Mt 21, 13.
    (23) Cfr. Mt 13, 30
    (24) I Pt 1, 2
    (25) Rm 8, 28
    (26) Il decreto della IV sessione disponeva che in caso di vacanza durante il concilio il conclave si tenesse a Basilea; Il decreto della VII sessione precisava che il consueto termine di dice era elevato per tale occasione a sessanta giorni.
    (27) Cfr. Gv 10, 11.15
    (28) Cfr. Mt 5, 18
    (29) Gv 10, 11-15
    (30) Cfr. Gv 21, 15-17
    (31) CFr. Gb 42, 2
    (32) Cfr. Mt 5, 26
    (33) Mt 6, 19-20
    (34) Cfr. Dt 1, 17;16, 19; Gc 2, 1.9
    (35) Mt 12, 50; Mc 3, 35
    (36) Cfr. Nm 25, 6-8
    (37) Cfr. I Re 3, 11-14
    (38) Cfr. Lc 16, 2
    (39) Cfr. Gal 2, 9-10
    (40) Tale decreto impegnava il papa a non creare nuovi cardinali durante la celebrazione del concilio.
    (41) Cfr. Lc 1, 37
    (42) Gc 1, 5
    (43) Gc 1, 17
    (44) Sal 95, 11
    (45) Ef 2, 20; 2, 14
    (46) Cfr. I Ts 3, 9
    (47) Cfr. Tb 12, 20
    (48) Cfr. Mt 13, 16-17
    (49) Il testo greco recita invece di "come del resto è detto" "in quanto sia contenuto" , con un'intenzione limitativa.
    (50) Nm 16, 26
    (51) Nm 16, 26
    (52) Cfr. Ap 5, 9
    (53) Ml 4, 2
    (54) Cfr. Is 49, 6
    (55) Cfr. Gv 15, 14
    (56) Sal 73, 23
    (57) Cfr. Sal 68, 28
    (58) Il decreto approvato a Basilea fa precedere a queste proposizioni la ripetizione dei primi due paragrafi del decreto della V sessione del concilio di Costanza (Msi 29, 178-179)
    (59) Dn 13, 9
    (60) Cfr. Mt 12, 39
    (61) Cfr. Sal 26, 12
    (62) Cfr. Mt 24, 15
    (63) Cfr. Nm 16, 26
    (64) Sal 80, 2
    (65) Lc 1, 54
    (66) Gb 25, 2
    (67) Lc 2, 14
    (68) II Cor 1, 3-4
    (69) I Tm 3, 77
    (70) Sal 117, 23
    (71) Sal 135, 4
    (72) Cfr. 1 Cor 14, 15
    (73) Simbolo niceno-costantinopolitano, con l'aggiunta del Filioque
    (74) Seconda parte della definizione di Calcedonia
    (75) Seconda parte della definizione del Costantinopolitano III
    (76) Cfr. Rm 5, 12
    (77) Cfr. Gv 3, 5
    (78) At 8, 14-I7
    (79) Cfr. At 2.
    (80) I Cor 1, 23
    (81) Cfr. Gv 19, 34
    (82) Cfr. Ap 17, 15
    (83) Gc 5, 14-15
    (84) Ef. 5, 32
    (85) Is 12, 5-6
    (86) Rm 15, 6
    (87) Cfr. Gv 21, 17
    (88) Cfr. I Tm, 2
    (89) I Tm 4, 4
    (90) Mt 15, 11
    (91) At 15, 29
    (92) Tt 1, 15
    (93) I Cor 6, 12; 10, 22
    (94) Mt 25, 41
    (95) Mt 26, 28; Mc 14, 18; Lc 22, 10; I Cor 11, 25
    (96) Rm 7, 3; I Cor 7, 39
    (97) Sal 94, 1, 3
    (98) Sal 47, 2
    (99) Cfr. Mt 5, 14
    (100) Il 14 ottobre 1443 Eugenio IV aveva trasferito il concilio da Firenze a Roma.
    (101) Dalla definizione del concilio di Calcedonia
    (102) Dalla definizione del concilio Costantinopolitano III
    (103) II Cor 1, 3

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