1) Santo Padre, sono Don Gianpiero Palmieri, parroco della parrocchia di San Frumenzio ai Prati Fiscali. Volevo rivolgerle una domanda sulla missione evangelizzatrice della comunità cristiana e, in particolare, sul ruolo e sulla formazione di noi presbiteri all'interno di questa missione evangelizzatrice.
Per spiegarmi, parto da un episodio personale. Quando, giovane presbitero, ho cominciato il mio servizio pastorale nella parrocchia e nella scuola, mi sentivo forte del bagaglio degli studi e della formazione ricevuta, ben radicato nel mondo delle mie convinzioni dei miei sistemi di pensiero. Una donna credente e saggia, vedendomi in azione, scosse la testa sorridendo e mi disse: don Gianpiero, quand'è che metti i pantaloni lunghi, quand'è che diventi uomo? È un episodio che m'è rimasto nel cuore. Quella donna saggia cercava di spiegarmi che la vita, il mondo reale, Dio stesso, sono più grandi e sorprendenti dei concetti che noi elaboriamo. Mi invitava a mettermi in ascolto dell'umano per cercare di capire, per comprendere, senza aver fretta di giudicare. Mi chiedeva di imparare a entrare in relazione con la realtà, senza paure, perché la realtà è abitata da Cristo stesso che agisce misteriosamente nel suo Spirito. Di fronte alla missione evangelizzatrice oggi noi presbiteri ci sentiamo impreparati e inadeguati, sempre con i calzoni corti. Sia sotto l'aspetto culturale — ci sfugge la conoscenza attenta delle grandi direttrici del pensiero contemporaneo, nelle sue positività e nei suoi limiti — e soprattutto sotto l'aspetto umano. Rischiamo sempre di essere troppo schematici, incapaci di comprendere in maniera saggia il cuore degli uomini di oggi. L'annuncio della salvezza in Gesù non è anche l'annuncio dell'uomo nuovo Gesù, il Figlio di Dio, nel quale anche la nostra umanità povera viene redenta, resa autentica, trasformata da Dio? Allora la mia domanda è questa: condivide questi pochi pensieri? Nelle nostre comunità cristiane viene tanta gente ferita dalla vita. Quali luoghi e modi possiamo inventarci per aiutare nell'incontro con Gesù l'umanità degli altri? E anche come costruire in noi preti un'umanità bella e feconda? Grazie, Santità!
R. Grazie! Cari confratelli, innanzitutto vorrei esprimere la mia grande gioia di essere con voi, parroci di Roma: i miei parroci, siamo in famiglia. Il Cardinale Vicario ci ha detto bene è che un momento di riposo spirituale. E in questo senso sono anche grato che posso iniziare la Quaresima con un momento di riposo spirituale, di respiro spirituale, nel contatto con voi. E ha anche detto: stiamo insieme perché voi potete raccontarmi le vostre esperienze, le vostre sofferenze, anche i vostri successi e gioie. Quindi non direi che qui parla un oracolo, al quale voi chiedete. Siamo invece in uno scambio familiare, dove per me è anche molto importante, tramite voi, conoscere la vita nelle parrocchie, le vostre esperienze con la Parola di Dio nel contesto del nostro mondo di oggi. E vorrei così imparare anch'io, avvicinarmi alla realtà dalla quale chi è nel Palazzo Apostolico è anche un po' troppo distante. E questo è anche il limite delle mie risposte. Voi vivete nel contatto diretto, giorno per giorno, con il mondo di oggi; io vivo in contatti diversificati, che sono molto utili. Per esempio, adesso ho avuto la visita «ad limina» dei Vescovi della Nigeria. E ho potuto vedere così, tramite le persone, la vita della Chiesa in un Paese importante dell'Africa, il più grande, con 140 milioni di abitanti, un grande numero di cattolici, e toccare le gioie e anche le sofferenze della Chiesa. Ma per me questo è ovviamente un riposo spirituale, perché è una Chiesa come la vediamo negli Atti degli Apostoli. Una Chiesa dove c'è la fresca gioia di aver trovato Cristo, di aver trovato il Messia di Dio. Una Chiesa che vive e cresce ogni giorno. La gente è gioiosa di trovare Cristo. Hanno vocazioni e così possono dare, nei diversi Paesi del mondo, sacerdoti fidei donum. E vedere che non c'è solo una Chiesa stanca, come si trova spesso in Europa, ma una Chiesa giovane, piena di gioia dello Spirito Santo, è certamente un rinfresco spirituale. Ma è anche importante per me, con tutte queste esperienze universali, vedere la mia Diocesi, i problemi e tutte le realtà che vivono in questa Diocesi.
In questo senso, in sostanza, sono d'accordo con lei: non è sufficiente predicare o fare pastorale con il bagaglio prezioso acquisito negli studi della teologia. Questo è importante e fondamentale, ma deve essere personalizzato: da conoscenza accademica, che abbiamo imparato e anche riflettuto, in visione personale della mia vita, per arrivare alle altre persone. In questo senso vorrei dire che è importante, da una parte, concretizzare con la nostra esperienza personale della fede, nell'incontro con i nostri parrocchiani, la grande parola della fede, ma anche non perdere la sua semplicità. Naturalmente parole grandi della tradizione — come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale — sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell'annuncio di Dio all'uomo nell'oggi.
E, direi, dall'altra parte, non dovremmo coprire la semplicità della Parola di Dio in valutazioni troppo pesanti di avvicinamenti umani. Mi ricordo un amico che, dopo aver ascoltato prediche con lunghe riflessioni antropologiche per arrivare insieme al Vangelo, diceva: ma non mi interessano questi avvicinamenti, io vorrei capire che cosa dice il Vangelo! E mi sembra spesso che invece di lunghi cammini di avvicinamento, sarebbe meglio — io l'ho fatto quanto ero ancora nella mia vita normale — dire: questo Vangelo non ci piace, siamo contrari a quanto dice il Signore! Ma che cosa vuole dire? Se io dico sinceramente che a prima vista non sono d'accordo, abbiamo già l'attenzione: si vede che io vorrei, come uomo di oggi, capire che cosa dice il Signore. Così possiamo senza lunghi circuiti entrare nel vivo della Parola. E dobbiamo anche tener presente, senza false semplificazioni, che i dodici apostoli erano pescatori, artigiani, di questa provincia, la Galilea, senza particolare preparazione, senza conoscenza del grande mondo greco e latino. Eppure sono andati in tutte le parti dell'impero, anche fuori l'impero, fino all'India, e hanno annunciato Cristo con semplicità e con la forza della semplicità di quello che è vero. E mi sembra anche questo importante: non perdiamo la semplicità della verità. Dio c'è e Dio non è un essere ipotetico, lontano, ma è vicino, ha parlato con noi, ha parlato con me. E così diciamo semplicemente che cosa è e come si può e si deve naturalmente spiegare e sviluppare. Ma non perdiamo il fatto che noi non proponiamo riflessioni, non proponiamo una filosofia, ma proponiamo l'annuncio semplice del Dio che ha agito. E che ha agito anche con me.
E poi per la contestualizzazione culturale, romana — che è assolutamente necessaria — direi che il primo aiuto è la nostra esperienza personale. Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell'economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà. Così siamo proprio nel cammino di farci capire anche dagli altri. San Bernardo di Chiaravalle ha detto nel suo libro di considerazioni al suo discepolo Papa Eugenio: considera di bere dalla tua propria fonte, cioè dalla tua propria umanità. Se sei sincero con te e cominci a vedere con te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo, bevendo dal tuo proprio pozzo, come dice san Bernardo, anche agli altri puoi dire quanto si deve dire. E in questo senso mi sembra importante essere attenti realmente al mondo di oggi, ma anche essere attenti al Signore in me stesso: essere un uomo di questo tempo e nello stesso tempo un credente di Cristo, che in sè trasforma il messaggio eterno in messaggio attuale.
E chi conosce meglio gli uomini di oggi che il parroco? La canonica non è nel mondo, è invece nella parrocchia. E qui, dal parroco, vengono gli uomini spesso, normalmente, senza maschera, non con altri pretesti, ma nella situazione della sofferenza, della malattia, della morte, delle questioni in famiglia. Vengono nel confessionale senza maschera, con il loro proprio essere. Nessun'altra professione, mi sembra, dà questa possibilità di conoscere l'uomo com'è nella sua umanità e non nel suo ruolo che ha nella società. In questo senso, possiamo realmente studiare l'uomo come è nella sua profondità, fuori dai ruoli, e imparare anche noi stessi l'essere umano, l'essere uomo sempre alla scuola di Cristo. In questo senso direi che è assolutamente importante imparare l'uomo, l'uomo di oggi, in noi e con gli altri, ma anche sempre nell'ascolto attento al Signore e accettando in me il seme della Parola, perché in me si trasforma in frumento e diventa comunicabile agli altri.
(CONTINUA)
Per spiegarmi, parto da un episodio personale. Quando, giovane presbitero, ho cominciato il mio servizio pastorale nella parrocchia e nella scuola, mi sentivo forte del bagaglio degli studi e della formazione ricevuta, ben radicato nel mondo delle mie convinzioni dei miei sistemi di pensiero. Una donna credente e saggia, vedendomi in azione, scosse la testa sorridendo e mi disse: don Gianpiero, quand'è che metti i pantaloni lunghi, quand'è che diventi uomo? È un episodio che m'è rimasto nel cuore. Quella donna saggia cercava di spiegarmi che la vita, il mondo reale, Dio stesso, sono più grandi e sorprendenti dei concetti che noi elaboriamo. Mi invitava a mettermi in ascolto dell'umano per cercare di capire, per comprendere, senza aver fretta di giudicare. Mi chiedeva di imparare a entrare in relazione con la realtà, senza paure, perché la realtà è abitata da Cristo stesso che agisce misteriosamente nel suo Spirito. Di fronte alla missione evangelizzatrice oggi noi presbiteri ci sentiamo impreparati e inadeguati, sempre con i calzoni corti. Sia sotto l'aspetto culturale — ci sfugge la conoscenza attenta delle grandi direttrici del pensiero contemporaneo, nelle sue positività e nei suoi limiti — e soprattutto sotto l'aspetto umano. Rischiamo sempre di essere troppo schematici, incapaci di comprendere in maniera saggia il cuore degli uomini di oggi. L'annuncio della salvezza in Gesù non è anche l'annuncio dell'uomo nuovo Gesù, il Figlio di Dio, nel quale anche la nostra umanità povera viene redenta, resa autentica, trasformata da Dio? Allora la mia domanda è questa: condivide questi pochi pensieri? Nelle nostre comunità cristiane viene tanta gente ferita dalla vita. Quali luoghi e modi possiamo inventarci per aiutare nell'incontro con Gesù l'umanità degli altri? E anche come costruire in noi preti un'umanità bella e feconda? Grazie, Santità!
R. Grazie! Cari confratelli, innanzitutto vorrei esprimere la mia grande gioia di essere con voi, parroci di Roma: i miei parroci, siamo in famiglia. Il Cardinale Vicario ci ha detto bene è che un momento di riposo spirituale. E in questo senso sono anche grato che posso iniziare la Quaresima con un momento di riposo spirituale, di respiro spirituale, nel contatto con voi. E ha anche detto: stiamo insieme perché voi potete raccontarmi le vostre esperienze, le vostre sofferenze, anche i vostri successi e gioie. Quindi non direi che qui parla un oracolo, al quale voi chiedete. Siamo invece in uno scambio familiare, dove per me è anche molto importante, tramite voi, conoscere la vita nelle parrocchie, le vostre esperienze con la Parola di Dio nel contesto del nostro mondo di oggi. E vorrei così imparare anch'io, avvicinarmi alla realtà dalla quale chi è nel Palazzo Apostolico è anche un po' troppo distante. E questo è anche il limite delle mie risposte. Voi vivete nel contatto diretto, giorno per giorno, con il mondo di oggi; io vivo in contatti diversificati, che sono molto utili. Per esempio, adesso ho avuto la visita «ad limina» dei Vescovi della Nigeria. E ho potuto vedere così, tramite le persone, la vita della Chiesa in un Paese importante dell'Africa, il più grande, con 140 milioni di abitanti, un grande numero di cattolici, e toccare le gioie e anche le sofferenze della Chiesa. Ma per me questo è ovviamente un riposo spirituale, perché è una Chiesa come la vediamo negli Atti degli Apostoli. Una Chiesa dove c'è la fresca gioia di aver trovato Cristo, di aver trovato il Messia di Dio. Una Chiesa che vive e cresce ogni giorno. La gente è gioiosa di trovare Cristo. Hanno vocazioni e così possono dare, nei diversi Paesi del mondo, sacerdoti fidei donum. E vedere che non c'è solo una Chiesa stanca, come si trova spesso in Europa, ma una Chiesa giovane, piena di gioia dello Spirito Santo, è certamente un rinfresco spirituale. Ma è anche importante per me, con tutte queste esperienze universali, vedere la mia Diocesi, i problemi e tutte le realtà che vivono in questa Diocesi.
In questo senso, in sostanza, sono d'accordo con lei: non è sufficiente predicare o fare pastorale con il bagaglio prezioso acquisito negli studi della teologia. Questo è importante e fondamentale, ma deve essere personalizzato: da conoscenza accademica, che abbiamo imparato e anche riflettuto, in visione personale della mia vita, per arrivare alle altre persone. In questo senso vorrei dire che è importante, da una parte, concretizzare con la nostra esperienza personale della fede, nell'incontro con i nostri parrocchiani, la grande parola della fede, ma anche non perdere la sua semplicità. Naturalmente parole grandi della tradizione — come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale — sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell'annuncio di Dio all'uomo nell'oggi.
E, direi, dall'altra parte, non dovremmo coprire la semplicità della Parola di Dio in valutazioni troppo pesanti di avvicinamenti umani. Mi ricordo un amico che, dopo aver ascoltato prediche con lunghe riflessioni antropologiche per arrivare insieme al Vangelo, diceva: ma non mi interessano questi avvicinamenti, io vorrei capire che cosa dice il Vangelo! E mi sembra spesso che invece di lunghi cammini di avvicinamento, sarebbe meglio — io l'ho fatto quanto ero ancora nella mia vita normale — dire: questo Vangelo non ci piace, siamo contrari a quanto dice il Signore! Ma che cosa vuole dire? Se io dico sinceramente che a prima vista non sono d'accordo, abbiamo già l'attenzione: si vede che io vorrei, come uomo di oggi, capire che cosa dice il Signore. Così possiamo senza lunghi circuiti entrare nel vivo della Parola. E dobbiamo anche tener presente, senza false semplificazioni, che i dodici apostoli erano pescatori, artigiani, di questa provincia, la Galilea, senza particolare preparazione, senza conoscenza del grande mondo greco e latino. Eppure sono andati in tutte le parti dell'impero, anche fuori l'impero, fino all'India, e hanno annunciato Cristo con semplicità e con la forza della semplicità di quello che è vero. E mi sembra anche questo importante: non perdiamo la semplicità della verità. Dio c'è e Dio non è un essere ipotetico, lontano, ma è vicino, ha parlato con noi, ha parlato con me. E così diciamo semplicemente che cosa è e come si può e si deve naturalmente spiegare e sviluppare. Ma non perdiamo il fatto che noi non proponiamo riflessioni, non proponiamo una filosofia, ma proponiamo l'annuncio semplice del Dio che ha agito. E che ha agito anche con me.
E poi per la contestualizzazione culturale, romana — che è assolutamente necessaria — direi che il primo aiuto è la nostra esperienza personale. Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell'economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà. Così siamo proprio nel cammino di farci capire anche dagli altri. San Bernardo di Chiaravalle ha detto nel suo libro di considerazioni al suo discepolo Papa Eugenio: considera di bere dalla tua propria fonte, cioè dalla tua propria umanità. Se sei sincero con te e cominci a vedere con te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo, bevendo dal tuo proprio pozzo, come dice san Bernardo, anche agli altri puoi dire quanto si deve dire. E in questo senso mi sembra importante essere attenti realmente al mondo di oggi, ma anche essere attenti al Signore in me stesso: essere un uomo di questo tempo e nello stesso tempo un credente di Cristo, che in sè trasforma il messaggio eterno in messaggio attuale.
E chi conosce meglio gli uomini di oggi che il parroco? La canonica non è nel mondo, è invece nella parrocchia. E qui, dal parroco, vengono gli uomini spesso, normalmente, senza maschera, non con altri pretesti, ma nella situazione della sofferenza, della malattia, della morte, delle questioni in famiglia. Vengono nel confessionale senza maschera, con il loro proprio essere. Nessun'altra professione, mi sembra, dà questa possibilità di conoscere l'uomo com'è nella sua umanità e non nel suo ruolo che ha nella società. In questo senso, possiamo realmente studiare l'uomo come è nella sua profondità, fuori dai ruoli, e imparare anche noi stessi l'essere umano, l'essere uomo sempre alla scuola di Cristo. In questo senso direi che è assolutamente importante imparare l'uomo, l'uomo di oggi, in noi e con gli altri, ma anche sempre nell'ascolto attento al Signore e accettando in me il seme della Parola, perché in me si trasforma in frumento e diventa comunicabile agli altri.
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