Dominus Est !

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..Et unam, sanctam, cathólicam et apostólicam Ecclésiam!


    Concilio di Trento

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    Messaggio  Stephanos Sab Giu 28, 2008 11:42 am

    Concilio di Trento


    25 sessioni dal 13 dicembre 1545 al 4 dicembre 1563 in tre periodi: I-VIII sessione a Trento 1545-47 (IX-XI sessione a Bologna 1547) tutte sotto Papa Paolo III (1534-1549); XII-XVI sessione a Trento 1551-52 sotto Papa Giulio III (1550-1555); XVII-XXV sessione a Trento sotto Papa Pio IV (1559-1565).
    Dottrina sulla Scrittura e la tradizione, peccato originale e giustificazione, sacramenti e sacrificio della messa, culto dei Santi. Decreti di riforma.

    --------------------------------------------------------------------------------

    I-VI sessione (1545-1547)
    VII-XI sessione (1547)
    XII-XVI sessione (1551-1552)
    XVII-XXII sessione (1562-1563)
    XXIII-XXIV sessione (1563)
    XXV sessione (1563)
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:47 pm

    SESSIONE I (13 dicembre 1545)

    (Decreto di inizio del concilio).

    Reverendi Padri, credete opportuno, a lode e gloria della santa e indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e l’unione della chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la repressione e l’estinzione dei nemici del nome cristiano, decretare e dichiarare aperto il sacro, generale concilio tridentino? [Risposero: sì].

    (Indizione della futura sessione).

    E poiché è già prossima la solennità della natività del signore nostro Gesù Cristo e seguiranno le altre festività del termine e dell’inizio dell’anno, credete bene che la prima futura sessione del concilio si debba tenere il giovedì dopo l’Epifania, che sarà il giorno 7 gennaio dell’anno del Signore I546? [Risposero: sì].



    SESSIONE II (7 gennaio 1546)

    (Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi nel concilio).

    Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, ben sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci vien dato ed ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi (1) - il quale a quelli che domandano la sapienza dà a tutti abbondantemente senza rimproveri (2) - ed anche che l’inizio della sapienza è il timore di Dio (3), ha stabilito che debbano esortarsi - ed esorta di fatto - tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi del male e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del Signore, e non seguire i desideri della carne (4), perché vogliano esser assidui alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento dell’eucarestia, frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno lo potrà, i comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la pace dei principi cristiani e per l’unità della chiesa.

    Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro sacerdote che si trovi in questa città per la celebrazione del concilio ecumenico, li esorta a voler attendere assiduamente alle lodi di Dio, offrendo sacrifici, lodi, preghiere, celebrando il sacrificio della messa almeno ogni domenica, giorno nel quale il Signore creò la luce, risorse dai morti, ed effuse lo Spirito santo sui discepoli. Offrano, come lo stesso Spirito santo comanda per mezzo degli apostoli, suppliche, preghiere, richieste, rendimenti di grazie (5), per il santissimo nostro signore il papa, per l’imperatore, per i re, per tutti gli altri che sono costituiti in autorità e per tutti gli uomini, perché conduciamo una vita quieta e tranquilla (6), possiamo goder della pace e vedere l’espansione della fede.

    Li esorta, inoltre, a voler digiunare almeno ogni venerdì, in memoria della passione del Signore e a far elemosine ai poveri.

    Nella chiesa cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa dello Spirito santo, con le litanie e le altre preghiere stabilite a questo scopo. Nelle altre chiese vengano dette nello stesso giorno almeno le litanie e le orazioni. E durante il tempo delle funzioni sacre, non si chiacchieri e non si raccontino storie, ma si assista il celebrante con la bocca e col cuore.

    E poiché bisogna che i vescovi siano irreprensibili, sobri, casti, bravi amministratori della loro casa (7), li esorta anche affinché prima di tutto ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e la moderazione nei cibi; e poi, dato che in essa, di solito, si tengono discorsi oziosi, perché nelle mense dei vescovi si faccia sempre un po’ di lettura della Scrittura.

    Ognuno istruisca e cerchi di educare i suoi familiari, perché sfuggano le risse, il vino, la disonestà, la cupidigia; perché non siano superbi, né bestemmiatori o amanti dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e abbraccino le virtù; nel modo di vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra azione si mostrino onesti, come si addice ai servi dei servi di Dio.

    Inoltre, poiché la principale preoccupazione, sollecitudine, intenzione di questo sacrosanto concilio è che, - dissipate le tenebre delle eresie, che per tanti anni hanno imperversato sulla terra, - con l’aiuto di Gesù Cristo, luce vera (Cool, risplenda la luce, lo splendore, la purezza della verità cattolica, e sia riformato ciò che ne ha bisogno, lo stesso concilio esorta tutti i cattolici, convenuti o che converranno a Trento, e in modo particolare quelli che hanno una particolare conoscenza delle sacre scritture, perché vogliano seriamente riflettere per quali vie e con quali mezzi specialmente possa realizzarsi l’intenzione del concilio e sia conseguito l’effetto desiderato: una sollecita e consapevole condanna degli errori, la conferma delle cose degne di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con una sola voce e con la confessione della stessa fede glorifichino Dio, Padre del signore nostro Gesù Cristo (9).

    Nell’esporre, poi, le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del Signore siedono nel luogo della benedizione - secondo quanto stabilisce il concilio Toletano (10), nessuno deve strepitare con espressioni smodate, o disturbare con tumulti; così come non deve far valere le sue idee con dispute false, vane, ostinate. Tutto ciò che viene detto, invece, sia moderato da una forma così mite, che né offenda chi ascolta, né offuschi, per lo sconvolgimento dell’animo, il sereno giudizio della mente.

    Lo stesso santo concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante il concilio qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto e con la partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per alcuno né acquisizione di diritti.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:48 pm

    SESSIONE III (4 febbraio 1546)

    Si accoglie il simbolo della fede cattolica.

    Nel nome della Santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da trattare, specie di quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione delle eresie e della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato radunato; ben comprendendo, con l’Apostolo, che esso non deve lottare con la carne e il sangue, ma contro gli esseri spirituali del male che abitano le regioni celesti (11), con lo stesso apostolo esorta, in primo luogo, tutti e singoli, perché siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza; imbracciando in ogni cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti i dardi infuocati del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (12).

    Perché, quindi, questa sua materna sollecitudine abbia inizio e progredisca per la grazia di Dio, prima di tutto stabilisce e dispone di premettere la professione di fede. Esso segue, in ciò, l’esempio dei padri, i quali usarono opporre nei concili più venerandi questo scudo contro ogni eresia, all’inizio della loro attività; solo con esso condussero gli infedeli alla fede, espugnarono gli eretici, confermarono i fedeli. Ha creduto bene, quindi, che si professi il simbolo della fede in uso presso la santa chiesa Romana, come principio in cui tutti quelli che professano la fede di Cristo necessariamente convengono, e come fondamento fermo e unico, contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno mai (13), con le esatte parole, con cui si legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri, visibili e invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera dello Spirito santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno secondo le scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito santo, signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio. Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed ha parlato per bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed aspetto la resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.

    Data della futura sessione.

    Lo stesso sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando che molti prelati si sono accinti al viaggio da diverse parti, che alcuni sono già in via per venire qui, e che tutto quello che dovrà esser deciso dallo stesso santo sinodo potrà incontrare presso tutti una stima ed un onore tanto più grandi, quanto più completa sarà l’assemblea e più numerosa la presenza dei padri che l’hanno sancito e rafforzato, ha stabilito e deciso che la sessione, successiva a questa sia celebrata il giovedì, che seguirà la prossima domenica Laetare.

    In questo intervallo, tuttavia, non verrà sospesa la discussione e l’esame di quegli argomenti che sembrerà opportuno allo stesso sinodo discutere ed esaminare.



    SESSIONE IV (8 aprile 1546)

    Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.

    Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante (l4), il signore nostro Gesù Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura (15) per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.

    E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano (16), sono giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.

    E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.

    Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.

    Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.

    Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.

    Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella chiesa.

    Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.

    Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.

    Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.

    Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense (17).

    Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.

    Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.

    Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi stessi.

    Terzo decreto: Indizione della futura sessione.

    Questo sacrosanto concilio stabilisce e comanda che la futura sessione debba esser celebrata il giovedì dopo la prossima santissima festa di Pentecoste.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:48 pm

    SESSIONE V (I7 giugno 1546)

    Decreto sul peccato originale.

    Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.

    1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.

    2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).

    3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).

    4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (29).

    5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo.

    Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (36).

    Il santo sinodo dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato "peccato" la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.

    6. Questo santo sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il sinodo rinnova.

    Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la predicazione.

    1. Lo stesso sacrosanto sinodo, aderendo alle pie costituzioni dei sommi pontefici e dei concili approvati, le fa sue; e volendo completarle, perché non avvenga che il tesoro celeste dei libri sacri, che lo Spirito santo ha dato agli uomini con somma liberalità, rimanga trascurato, ha stabilito e ordinato che nelle chiese, in cui vi sia una prebenda o una dotazione, o uno stipendio comunque chiamato destinato ai lettori di sacra teologia, i vescovi, gli arcivescovi, i primati e gli altri ordinari locali obblighino, anche con la sottrazione dei frutti relativi, quelli che hanno questa prebenda, dotazione o stipendio, ad esporre e spiegare la sacra scrittura personalmente, se sono idonei, altrimenti per mezzo di un sostituto adatto, da scegliersi dai vescovi, dagli arcivescovi, dai primati e dagli altri ordinari stessi.

    Per il futuro tale prebenda, dotazione o stipendio non dovrà esser conferito se non a persone adatte, che siano capaci di esplicare tale ufficio da se stessi. Ogni provvista fatta altrimenti sia nulla e invalida.

    2. Nelle chiese metropolitane o cattedrali, se la città è importante e popolosa, ed anche nelle collegiate che si trovassero in un centro importante, - anche di nessuna diocesi, - purché vi sia numeroso clero, qualora non si trovi prebenda, dotazione o stipendio da destinare a questo scopo, si consideri ipso facto destinata per sempre a ciò la prima prebenda che in qualsiasi modo si renda vacante, salvo il caso di rinunzia e qualora vi sia annesso un altro onere incompatibile. Se non vi fosse in queste stesse chiese alcuna prebenda o fosse insufficiente, il metropolita o il vescovo stesso, con l’assegnazione dei frutti di un beneficio semplice (di cui però bisogna soddisfare gli oneri), o col contributo dei beneficiati della sua città e diocesi, o anche in altro modo, come si potrà fare più facilmente, col consiglio del capitolo provveda in maniera tale, che si abbia la lettura della sacra scrittura. Ciò però, avvenga in modo che qualsiasi altra lettura, istituita o consuetudinaria non sia, per questo motivo, omessa.

    3. Quelle chiese i cui proventi annuali fossero limitati, o dove il clero e il popolo fosse tanto scarso, da non potersi tenere opportunamente la lezione di teologia, abbiano almeno un maestro, scelto dal vescovo col consiglio del capitolo, che insegni gratuitamente la grammatica ai chierici e agli altri scolari poveri, perché, con l’aiuto di Dio, possano poi passare agli studi della sacra scrittura. Il maestro di grammatica riceva i frutti di un beneficio semplice fino a che eserciterà tale ufficio senza che, tuttavia, il beneficio stesso sia distolto dal proprio scopo, o un adeguato compenso dalla mensa capitolare o vescovile o il vescovo stesso escogiti qualche altro mezzo adatto alla sua chiesa e diocesi, perché questa pia, utile e così fruttuosa disposizione, sotto qualsiasi pretesto, non venga trascurata.

    4. Anche nei monasteri dove possa essere convenientemente realizzata, si tenga tale lettura della sacra scrittura. Se gli abati fossero negligenti, i vescovi quali delegati della sede apostolica, li costringano a farlo con i mezzi opportuni.

    5. Nei conventi dei regolari, in cui gli studi possono essere facilmente coltivati la lezione di sacra scrittura abbia ugualmente luogo, essa sia assegnata dai capitoli generali o provinciali ai maestri più degni.

    6. Anche nei ginnasi pubblici, dove questa lezione, più necessaria di tutte le altre non fosse stata ancora istituita, sia attivata dalla pietà e dalla carità dei religiosissimi principi e delle repubbliche, per la difesa e l’incremento della fede cattolica e per la conservazione e propagazione della sana dottrina. E dove fosse stata istituita ma fosse trascurata, la si rimetta in auge.

    7. E perché sotto l’apparenza della pietà non venga diffusa l’empietà, lo stesso santo sinodo stabilisce che nessuno debba essere ammesso a tale ufficio di lettore, sia in pubblico che in privato, se prima non è stato esaminato dal vescovo del luogo circa la sua vita, i suoi costumi, la sua scienza, e approvato. Ciò, tuttavia, non si applica ai lettori dei monasteri.

    8. Gli insegnanti di sacra scrittura, nel tempo in cui insegnano pubblicamente nelle scuole, e così pure gli studenti godano ed usufruiscano di tutti i privilegi concessi dal diritto di percepire i frutti delle loro prebende e dei loro benefici anche durante la loro assenza.

    9. Poiché, tuttavia, alla società cristiana non è meno necessaria la predicazione del Vangelo, che la sua lettura, e questo è il principale ufficio dei vescovi (39), lo stesso santo sinodo ha stabilito e deciso che tutti i vescovi, arcivescovi, primati, e tutti gli altri prelati di chiese siano tenuti a predicare personalmente il santo Vangelo di Gesù Cristo se non ne sono legittimamente impediti.

    10. Se i vescovi e le altre persone nominate fossero impedite da un legittimo motivo, siano tenuti, conformemente a quanto prescrive il concilio generale (40), a farsi sostituire da persone adatte per questo ufficio della predicazione. Se qualcuno trascurasse di adempiere ciò, sia sottoposto ad una pena severa.

    11. Anche gli arcipreti, i pievani, e tutti coloro che abbiano cura d’anime nelle parrocchie o altrove, personalmente o per mezzo d’altri se ne fossero legittimamente impediti, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni, nutrano il popolo loro affidato con parole salutari, secondo la propria e la loro capacità, insegnando quelle verità che sono necessarie a tutti per la salvezza e facendo loro conoscere, con una spiegazione breve e facile, i vizi che devono fuggire e le virtù che devono praticare, per evitare la pena eterna e conseguire la gloria celeste.

    Se poi qualcuno di loro fosse negligente anche se pretendesse di essere esente dalla giurisdizione del vescovo per qualsiasi motivo o anche se le chiese fossero ritenute in qualsiasi modo esenti, o forse annesse o unite a qualche monastero, situato magari fuori diocesi, purché in realtà si trovino nella diocesi, non manchi la provvidenziale sollecitudine dei vescovi, perché non debba avverarsi il detto: I piccoli chiesero il pane e non vi era chi lo spezzasse loro (41) Se però, pur ammoniti dal vescovo, per tre mesi mancassero al loro ufficio, vi siano costretti con le censure ecclesiastiche, o in altro modo secondo la decisione dello stesso vescovo. Se a lui sembrasse opportuno, potrà anche esser dato ad altri un onesto compenso sui frutti del beneficio perché compia questo dovere, fino a che il titolare si ravveda e adempia il suo dovere.

    12. Nelle chiese parrocchiali soggette a monasteri non dipendenti da alcuna diocesi, qualora gli abati e i superiori dei religiosi fossero negligenti in ciò che abbiamo detto, vi siano costretti dai metropoliti, nelle cui province si trovano le stesse diocesi, i quali si considereranno, in questa occasione, delegati della sede apostolica.

    Né valgano ad impedire l’esecuzione di qesto decreto la consuetudine, l’esenzione, l’appello o il reclamo, cioè il ricorso, fino a che il giudice competente, con procedimento sommario e tenendo solo conto della verità del fatto, non abbia esaminato e deciso l’argomento.

    13. I religiosi di qualunque ordine, se non sono stati esaminati e approvati dai loro superiori circa la vita, i costumi e la scienza, e se non consta di questa loro licenza, non potranno predicare neppure nelle chiese dei loro ordini. Essi devono presentarsi con essa personalmente ai vescovi e chiedere la loro benedizione, prima di dare inizio alla predicazione (42).

    14. I religiosi nelle chiese, che non appartengono al loro ordine, oltre alla licenza dei loro superiori, sono tenuti ad avere anche quella del vescovo; senza di essa, non potranno in nessun caso predicare nelle chiese che non sono del loro ordine (43). Questa licenza i vescovi la concedano gratuitamente.

    15. Se un predicatore seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche se predica in un monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli proibisca la predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui secondo il diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di essere esente per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo proceda con autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I vescovi impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o comunque calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.

    16. I vescovi inoltre abbiano cura che nessuno dei regolari viva fuori del convento e dell’obbedienza del proprio ordine, o che un sacerdote secolare (a meno che sia loro noto e possano approvarne i costumi e la dottrina) predichi nella loro città o diocesi, anche col pretesto di qualsiasi privilegio, fino a quando dagli stessi vescovi non sia stata consultata a questo proposito la santa sede apostolica, da cui, a meno che non si sia taciuta la verità o non si sia detta una menzogna, è difficile che gli immeritevoli possano estorcere tali privilegi.

    17. I raccoglitori di elemosine (44), che con espressione popolare, sono detti ‘questuantl’, di qualsiasi condizione essi siano, non presumano in nessun modo di poter predicare, sia personalmente, che per mezzo di altri. Chi facesse il contrario, ne sia assolutamente impedito con opportuni rimedi dai vescovi e dagli ordinari dei luoghi, non ostante qualsiasi privilegio.

    Decreto di indizione della futura sessione.

    Questo sacrosanto sinodo stabilisce e determina che la futura sessione si tenga e celebri il giovedì, feria quinta dopo la festa di S. Giacomo apostolo.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:49 pm

    SESSIONE VI (13 gennaio I547)

    Decreto sulla giustificazione

    Proemio

    In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.

    Capitolo I.

    L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.

    Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una

    conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice l’apostolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.

    Capitolo II.

    L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.

    Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).

    Capitolo III.

    Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.

    Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.

    Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.

    Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati (58).

    Capitolo IV.

    Descrizione della giustificazione dell’empio.

    Suo modo sotto la grazia.

    Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).

    Capitolo V.

    Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa scaturisce.

    Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.

    Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.

    Capitolo VI.

    Il modo di prepararsi.

    Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.

    Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).

    Capitolo VII.

    Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.

    A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).

    Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.

    Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per mento della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la fede operante per mezzo della carità (83).

    Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve lo vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna (85).

    Capitolo VIII.

    Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la fede e gratuitamente.

    Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per la fede (86) e gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la fede è il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88), giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione - sia la fede che le opere - merita la grazia della giustificazione, se infatti è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.

    Capitolo IX.

    Contro la vana fiducia degli eretici.

    Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.

    Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che sono stati realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza alcuna esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga assolto dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere assolto e giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata per questa sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.

    Infatti come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:49 pm

    Capitolo X.

    L’aumento della grazia ricevuta.

    Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di Dio (91), progredendo di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice l’apostolo (93)) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio corpo (94) e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto, continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non aspettare fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto (98). Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci, o Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).

    Capitolo XI.

    Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.

    Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica (100), esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo giogo è soave e il peso leggero (103).

    Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano (come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e verace: Rimetti a noi i nostri debiti (105).

    Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con moderazione, giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù Cristo, mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che prima non sia abbandonato da essi (109).

    Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (112).

    Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo questo voi mai peccherete (113).

    Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della vera religione quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona (114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere buone i giusti peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo (116) dice che tendeva alla ricompensa.

    Capitolo XII.

    Bisogna evitare la presunzione temeraria della predestinazione.

    Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione.

    Capitolo XIII.

    Del dono della perseveranza.

    Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).

    Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di non cadere (122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore (123), nelle fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si atterranno con la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete (126).

    Capitolo XIV.

    Di quelli che cadono e della loro riparazione.

    Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno, sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di essere giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).

    Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un cuore contrito ed umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote; e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna, che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo (130), ed osarono violare (131) il tempio del Signore.

    Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate degni frutti di penitenza (135).

    Capitolo XV.

    Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la fede.

    Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo (138).

    Capitolo XVI.

    Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere, e del modo ai questo merito.

    Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).

    Perciò a quelli che operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa, l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la sua venuta (143).

    Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle membra e la vite nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie, si deve credere che niente altro manchi agli stessi giustificati, perché si dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio (145), hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita eterna (se tuttavia moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo, nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (147).

    In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi (148), né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.

    Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza ricompensa (150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria (151), mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore (152), il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro meriti, quelli che sono suoi doni (153).

    E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154), ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse consapevole di nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che, come sta scritto, renderà a ciascuno secondo le sue opere (157).

    Dopo questa dottrina cattolica della giustificazione, - e nessuno potrà essere giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è sembrato opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare e fuggire.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:50 pm

    CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE

    1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.

    2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.

    3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.

    4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.

    5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.

    6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.

    7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.

    8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.

    9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.

    10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.

    11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

    12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.

    13. Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.

    14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anatema.

    15. Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.

    16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale): sia anatema.

    17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema.

    18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.

    19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.

    20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.

    21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.

    22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.

    23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.

    24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema.

    25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.

    26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio - per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo - l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161), qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine: sia anatema.

    27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.

    28. Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva (162), o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.

    29. Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anatema.

    30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anatema.

    31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.

    32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anatema.

    33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:50 pm

    Decreto sulla residenza dei vescovi e degli altri chierici inferiori

    Capitolo I.

    Lo stesso sacrosanto sinodo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, volendo accingersi a ristabilire la disciplina ecclesiastica assai rilassata e a correggere i corrotti costumi del clero e del popolo cristiano, ha creduto di incominciare da quelli che sono a capo delle chiese più importanti: "l’onesta di chi presiede, infatti, è la salvezza dei sudditi" (l63).

    Confidando quindi che, per la misericordia del Signore e Dio nostro e per la provvida diligenza del vicario in terra dello stesso Dio, possa senz’altro avvenire che, secondo le venerande prescrizioni dei beati padri (164), al governo delle chiese (peso che gli angeli stessi temerebbero) vengano assunte persone assolutamente degne, la cui vita precedente in ogni loro età, dagli anni della fanciullezza a quelli più maturi, passata lodevolmente negli esercizi della disciplina ecclesiastica, renda loro testimonianza: questo santo Sinodo ammonisce e vuole che siano ammoniti tutti quelli che per qualsiasi motivo e titolo sono a capo di chiese patriarcali, primaziali, metropolitane e cattedrali, perché vegliando su sé stessi e su tutto il gregge sul quale lo Spirito santo li ha costituiti per pascere la chiesa del Signore, che egli si è acquistato col suo sangue (165), siano vigilanti, come comanda l’apostolo (166), lavorino con ogni zelo e assolvano il loro ministero.

    Sappiano poi, che non potranno adempierlo in nessun modo se, come mercenari, abbandoneranno i greggi loro affidati (167), e non attenderanno alla custodia delle loro pecore, del cui sangue il giudice supremo chiederà conto alle loro mani (168). È certissimo infatti che non sarà accettata alcuna scusa per il pastore se il lupo ne divora le pecore e egli non se ne accorge.

    E tuttavia, poiché in questo tempo si trovano molti (cosa davvero dolorosa) che, immemori anche della propria salvezza, anteponendo le cose terrene alle celesti e le umane alle divine, se ne vanno in giro per le corti, o (abbandonato il gregge e trascurata la custodia delle pecore loro affidate) sono immersi nella cura degli interessi temporali: è sembrato bene al sacrosanto concilio rinnovare gli antichi canoni (169) (che per effetto dei tempi e la trascuratezza degli uomini sono andati quasi in disuso) promulgati contro i non residenti, cosa che esso fa in virtù del presente decreto ed inoltre, per ottenere più efficacemente la residenza e la riforma dei costumi nella chiesa, decide di stabilire e sancire nel modo che segue:

    Se qualcuno, cessando il legittimo impedimento o i giusti e ragionevoli motivi, dimorando fuori della sua diocesi per sei mesi continui sarà assente da una chiesa patriarcale, primaziale, metropolitana, o cattedrale, a lui affidata con qualsiasi titolo, causa, motivo, qualsiasi dignità, grado e preminenza egli abbia, ipso iure incorra nella pena di una quarta parte dei frutti di un anno, da destinarsi dal superiore ecclesiastico alla manutenzione della chiesa e ai poveri del luogo. Se poi l’assenza si prolunga per altri sei mesi, perda per ciò stesso un’altra quarta parte dei frutti da destinarsi allo stesso scopo. Prolungandosi la contumacia, perché essa sia assoggettata ad una più severa censura dei sacri canoni, il metropolita sia obbligato, entro tre mesi, a denunziare per lettera o per mezzo di un incaricato, al romano pontefice i vescovi suffraganei assenti; il suffraganeo più anziano residente sia obbligato a denunziare il metropolita assente: ciò sotto pena di interdetto dall’ingresso della chiesa, in cui si incorre ipso facto. Il romano pontefice, poi con l’autorità della sede suprema potrà prendere contro questi assenti i provvedimenti che la loro maggiore o minore contumacia richiede e provvedere alle stesse chiese con dei pastori più diligenti come giudicherà più conveniente e salutare nel Signore.

    Capitolo II.

    Quelli di dignità inferiore ai vescovi che abbiano in titolo o in commenda qualsiasi beneficio ecclesiastico, che richieda, per prescrizione del diritto o per consuetudine, la residenza personale, siano costretti dai loro ordinari con gli opportuni rimedi giuridici alla residenza (nel modo che a loro sembrerà opportuno, per il buon governo delle chiese e per l’aumento del culto divino, tenendo conto della qualità dei luoghi e delle persone) senza che qualcuno sia favorito da privilegi o indulti perpetui che concedano di non risiedere o di percepire i frutti durante l’assenza (170).

    Gli indulti, tuttavia, e le dispense temporanee, solo se concessi per motivi veri e ragionevoli, che devono essere legittimamente dimostrati davanti all’ordinario rimarranno in vigore. In questi casi, però, sarà dovere dei vescovi (considerandosi in ciò legati della sede apostolica) provvedere perché con la nomina di vicari adatti e l’assegnazione di una giusta parte dei frutti, non venga trascurata (171) in nessun modo la cura delle anime, senza che alcuno possa esser favorito da questo privilegio o esenzione.

    Capitolo III.

    I prelati delle chiese attendano con prudenza e diligenza alla correzione delle mancanze dei loro sudditi e nessun chierico secolare, invocando un privilegio personale, o nessun religioso che viva fuori del monastero, anche col pretesto che il suo ordine ne abbia il privilegio, si creda sicuro se commettesse un fallo di non essere visitato, punito e corretto dall’ordinario del luogo (come delegato della sede apostolica) secondo le sanzioni canoniche.

    Capitolo IV.

    I capitoli cattedrali e delle altre chiese maggiori e le persone che li compongono per nessuna esenzione, consuetudine, sentenza, giuramento, accordo (che, del resto, obbligherebbero solo quelli che ne sono gli autori e non i successori) potranno credersi al sicuro dal poter essere visitati, corretti ed emendati, anche con autorità apostolica, dai loro vescovi e da altri prelati maggiori - da soli o con altri, come a loro sembrerà - secondo le sanzioni canoniche, tutte le volte che sembri loro opportuno.

    Capitolo V.

    A nessun vescovo sia lecito, col pretesto di qualsiasi privilegio, esercitare il proprio ufficio episcopale nella diocesi di un altro vescovo, senza espressa licenza dell’ordinario del luogo, e solo sulle persone soggette allo stesso ordinario; se agisse diversamente, il vescovo sia ipso iure sospeso dall’esercizio delle sue funzioni pontificali e quelli che sono stati ordinati, dall’esercizio del loro ministero.

    Indizione della futura sessione.

    Reverendissimi e reverendi padri, credete bene che la prossima futura sessione possa esser celebrata il giovedì, feria quinta dopo la prima domenica della prossima quaresima, che cadrà il giorno 3 di marzo? Risposero: sì.


    --------------------------------------------------------------------------------

    Note


    1. Gc 1. 17.
    2. Gc 1. 5.
    3. Sal 110, 10; Eccli (Sir) 1, 16; Pr 1, 7; 9, 10
    4. Gal 5, 16; cfr. 1 Pt 2, 11.
    5. 1 Tm 2, 1.
    6. 1 Tm 2, 2.
    7. 1 Tm 3, 2 e 4.
    8. Cfr. Gv 1, 9.
    9. Rm 15, 6.
    10. Conc. Toletano XI (675), c. I (Msi 11, 137).
    11. Ef 6, 12.
    12. Ef 6, 10, 16. I7.
    13. Mt 16, 18.
    14. Cfr. Ger 31, 22 segg.; Is 53, 1; 55, 5; 61, 1 e altri.
    15. Cfr. Mt 28, 19 e 20; Mr 16, 15 segg.
    16. Cfr. II Ts 2, 14.
    17. Conc. Lateranense V, sess. X (COD. 632-633).
    18. Eb 11, 6.
    19. Ef 4, 14.
    20. Cfr. Ap 12, 9; 20, 2.
    21. Eb 2, 14.
    22. Rm 5, 12.
    23. Cfr. Rm 5, 9-10.
    24. 1 Cor 1, 30.
    25. At 4, 12.
    26. Gv 1, 29.
    27. Gal 3, 27.
    28. Rm 5, 12.
    29. Gv 3, 5.
    30. Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).
    31. Cfr. Rm 8, 1.
    32. Cfr. Rm 6, 4.
    33. Rm 8, 1 (solo nella vulgata).
    34. Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.
    35. Rm 8, 17.
    36. II Tm 2, 5.
    37. Cfr. Rm 7, 14, I7, 20.
    38. Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139).
    39. Cfr. Statuta ecclesiae antiqua, c. 3 (Les Statuta ecclesiae antiqua, nuova ed. critica a cura di Ch. Munier, Paris, 1960, 79) che corrisponde al c. 6 DLXXXVIII (Fr 1, 307).
    40. Conc. Lateranense IV, c. 10.
    41. Lam 4, 4.
    42. Cfr. Conc. Lateranense V, sess. XI (COD, 634-638).
    43. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 3.
    44. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 62; c. 11, V, 2, in VI (Fr 2, 1074); c. 2, V, 9, in Clem. (Fr. 2. 1190).
    45. Cfr. Ml 3, 20 (4, 2, della Vulgata).
    46. Cfr. Eb 12, 2.
    47. Cfr. Is, 64, 6.
    48. Ef 2, 3.
    49. Cfr. Rm 6, 20.
    50. II Cor 1, 3.
    51. Cfr. Gal 4, 4.
    52. Gal 4, 5.
    53. Rm 9, 30.
    54. Cfr. Gal 4, 5.
    55. Rm 3, 25.
    56. I Gv 2, 2.
    57. II Cor 5, 15.
    58. Col 1, 12-14
    59. Cfr. Rm 8, 23.
    60. Gv 3, 5.
    61. Zc 1, 3.
    62. Lm 5, 21.
    63. Cfr. Rm 10, 17.
    64. Rm 3, 24.
    65. Eb 11, 6.
    66. Mt 9, 2.
    67. Ecli (Sir) 1, 27 (Vulgata), trad. it. 1, 21.
    68. At 2, 38.
    69. Mt 28, 19-20.
    70. I Re 7, 3.
    71. Tt 3, 7.
    72. Cfr. I Cor 6, 11.
    73. Cfr. II Cor 1, 21-22.
    74. Ef 1, 13-14.
    75. Cfr. Rm 5, 10.
    76. Ef 2, 4.
    77. Cfr. AGOSTINO, Ep. 98 ad Bonifatium, 9 (CSEL 34/2, 530 segg.).
    78. Cfr. Ef 4, 23.
    79. Cfr. I Gv 3, 1.
    80. Cfr. I Cor 12, 11.
    81. Cfr. Rm 5, 5.
    82. Cfr. Gc 2, 17, 20.
    83. Gal 5, 6.
    84. Mt 19,17.
    85. Cfr. Lc 15. 22; AGOSTINO, De genesi ad litt., VI. 27 (CSEL 28/1, 199); cfr. Rituale Romano per l'amministrazione del battesimo.
    86. Cfr. Rm 3, 28 e altri.
    87. Cfr. Rm 3, 24.
    88. Eb 11, 6.
    89. II Pt 1, 4.
    90. Rm 11, 6.
    91. Cfr. Ef 2, 19.
    92. Sal 83, 8.
    93. Cfr. II Cor 4, 16.
    94. Cfr. Col 3, 5.
    95. Cfr. Rm 6, 13 e 19.
    96. Ap 22, 11.
    97. Ecli (Sir) 18, 22.
    98. Gc 2, 24.
    99. Nella preghiera della XIII domenica tra l'anno.
    100. Cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8, 717).
    101. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 43 (50) (CSEL 60, 270).
    l02. Cfr. I Gv 5, 3.
    103. Cfr. Mt 11, 30.
    104. Cfr. Gv 14, 23.
    105. Mt 6, I2.
    106. Rm 6, 22.
    107. Tt 2, 12.
    108. Cfr. Rm 5, 2.
    109. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 26 (29) (CSEL 60, 254) e anche altre volte in altre opere di Agostino.
    110. Cfr. Rm 8, 17.
    111. Eb 5, 8 e 9.
    112. I Cor 9, 24, 26-27.
    113. II Pt 1, 10.
    114. Cfr. Bolla Exurge Domine, art. 31 segg. (Dn 77I segg.).
    115. Sal 118, 112.
    116. Cfr. Eb 11, 26.
    117. Cfr. AGOSTINO, De corrept. et gr., 15 (46) (PL 44, 944).
    118. Mt 10, 22; 24, 13.
    119. Cfr. Rm 14, 4.
    120. Cfr. Fil 1, 6.
    121. Cfr. Fil 2, 13.
    122. Cfr. I Cor 10, 12.
    123. Cfr. Fil 2, 12.
    124. Cfr. II Cor 6, 5-6.
    125. Cfr. I Pt 1, 3.
    126. Rm 8, 12-13.
    127. GEROLAMO. Ep 84, 6 e Ep 130, 9 (CSEL, 55, 128; 56, 189); TERTULLIANO, De Poenitentia, c. 7 segg. (PL 1, 1241 segg.).
    128. Gv 20, 22-23; cfr. Mt 16, 19.
    129. Sal 50, 19.
    130. Cfr. Ef 4, 30.
    131. Cfr. I Cor 3, 17.
    132. Ap 2, 5.
    133. II Cor 7, 10.
    134. Mt 3, 2; 4, 17.
    135. Lc 3, 8; Mt 3, 8.
    136. Rm 16, 18.
    137. Cfr. II Cor 12, 9; Fil 4, 13.
    138. Cfr. I Cor 6. 9-10; I Tm 1, 9-10.
    139. I Cor 15, 58.
    140. Eb 6, 10.
    141. Eb 10, 35.
    142. Mt 10, 22.
    143. Cfr. II Tm 4, 7-8.
    144. Cfr. Gv 15, 1 segg.
    145. Cfr. Gv 3, 21.
    146 Cfr. Ap 14, 13.
    147. Gv 4, 13-14.
    148. Cfr. II Cor 3, 5.
    149. Cfr. Rm 10, 3.
    150. Cfr. Mt 10, 42; Mc 9, 40.
    151. II Cor 4, 17.
    152. Cfr. I Cor 1, 31, II Cor 10, 17 (gr 9, 23-24).
    153. Cfr. CELESTINO I. Ep. ad episcopos Galliae, c. 12 (PL 50, 536).
    154. Gv 3, 2.
    155. Cfr. I Cor 4, 3-4.
    156. I Cor 4, 5.
    157. Mt 16, 27; Rm 2, 6; Ap 22, 12.
    158. Cfr. l'inizio del simbolo Atanasiano.
    159. Cfr. Rm 5, 5.
    160. Cfr. Mt 10, 22; 24, 13.
    161. Cfr. Gv 3, 21.
    162. Cfr. Gc 2, 26.
    163. LEONE I, Ep 12, c. 1 (PL 54, 647). c. 5, D. LXI (Fr 1, 228).
    164. Cfr. c. 4, D. LIX; cc. 2 e 6, D. LXI (Fr 1, 226 seg., 229).
    165 At 20, 28.
    166. Cfr. II Tm 4, 5.
    167. Cfr. Gv 10, 12.
    168. Cfr. Ez 33, 6.
    169. Cfr. cc. 20-26, C. VII, q. 1 (Fr 1, 576-577); tutto il titolo 4 de cler. non resid., X. III (Fr 2, 460-464); c. un., III. in VI (Fr 2, 1019).
    170. Cfr. c. 15, I, 3, in VI (Fr 2, 943).
    171. Cfr. c. 34, I, 6, in VI (Fr 2, 964).
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:51 pm

    SESSIONE VII (3 marzo 1547)

    Primo decreto: I sacramenti

    Introduzione.

    A completamento della salutare dottrina della giustificazione, promulgata nella precedente sessione col consenso unanime di tutti i padri, è sembrato naturale trattare dei santissimi sacramenti della chiesa, attraverso i quali qualsiasi vera giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è recuperata, se perduta.

    Perciò il sacrosanto concilio tridentino generale ed ecumenico legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, per eliminare gli errori ed estirpare le eresie che in questa nostra età o sono state riesumate, contro gli stessi santissimi sacramenti, da eresie già condannate a suo tempo dai nostri padri, o sono state inventate de novo, le quali sono in contrasto con la purezza della chiesa cattolica e nuocciono grandemente alla salvezza delle anime: attenendosi alla dottrina delle sacre scritture, alle tradizioni apostoliche e all’unanime pensiero degli altri concili e dei padri (172), ha creduto bene di stabilire e di proporre i presenti canoni, ripromettendosi di pubblicare in seguito (con l’aiuto dello Spirito santo) gli altri che mancano al completamento dell’esposizione iniziata.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:52 pm

    CANONI SUI SACRAMENTI, IN GENERE

    1. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo, nostro signore, o che sono più o meno di sette, e cioè: il battesimo, la confermazione, l’eucarestia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine e il matrimonio, o anche che qualcuno di questi sette non è veramente e propriamente un sacramento: sia anatema.

    2. Se qualcuno afferma che questi stessi sacramenti della nuova legge non differiscono da quelli della legge antica, se non perché sono diverse le cerimonie e i riti esterni: sia anatema.

    3. Se qualcuno afferma che questi sette sacramenti sono talmente uguali fra di loro, che per nessun motivo uno è più degno dell’altro: sia anatema (173).

    4. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono necessari alla salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini con la sola fede ottengono da Dio la grazia della giustificazione (174), anche se non sono tutti necessari a ciascuno: sia anatema.

    5. Se qualcuno afferma che questi sacramenti sono stati istituiti solo per nutrire la fede: sia anatema.

    6. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che significano, o che non conferiscono la stessa grazia a quelli che non frappongono ostacolo, quasi che essi siano solo segni esteriori della grazia o della giustizia già ricevuta mediante la fede, o note distintive della fede cristiana, per cui si distinguono nel mondo i fedeli dagli infedeli: sia anatema.

    7. Se qualcuno afferma che con questi sacramenti non sempre e non a tutti, per quanto sta in Dio, viene data la grazia, anche se li ricevono nel modo dovuto, ma che viene data solo qualche volta e ad alcuni: sia anatema.

    8. Se qualcuno afferma che con i sacramenti della nuova legge la grazia non viene conferita ex opere operato, ma che è sufficiente la sola fede nella divina promessa per conseguire la grazia: sia anatema.

    9. Se qualcuno afferma che nei tre sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine non viene impresso nell’anima il carattere, cioè un segno spirituale ed indelebile, così che essi non possono essere ripetuti: sia anatema (l75).

    10. Se qualcuno afferma che tutti i cristiani hanno il potere di annunciare la parola e di amministrare tutti i sacramenti: sia anatema.

    11. Se qualcuno afferma che nei ministri, quando conferiscono i sacramenti, non si richiede l’intenzione di fare almeno quello che fa la chiesa: sia anatema (l76).

    12. Se qualcuno afferma che il ministro, quando si trova in peccato mortale - ancorché compia tutto ciò che è essenziale a celebrare e a conferire il sacramento - non celebra e non conferisce il sacramento: sia anatema (177).

    13. Se qualcuno afferma che i riti tramandati e approvati dalla chiesa cattolica, soliti ad essere usati nell’amministrazione solenne dei sacramenti, possano essere disprezzati o tralasciati a discrezione senza peccato da chi amministra il sacramento, o cambiati da qualsivoglia pastore di chiese con altri nuovi riti: sia anatema.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:52 pm

    CANONI SUL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

    1. Se qualcuno afferma che il battesimo di Giovanni aveva la stessa efficacia del battesimo del Cristo (178) sia anatema.

    2. Se qualcuno afferma che la vera acqua naturale non è necessaria per il battesimo (179) e darà, quindi, un significato metaforico alle parole del signore nostro Gesù Cristo: chi non rinascerà per l’acqua e lo Spirito santo (180): sia anatema.

    3. Se qualcuno afferma che nella chiesa romana (che è madre e maestra di tutte le chiese) non vi è la vera dottrina del battesimo (181): sia anatema.

    4. Se qualcuno afferma che il battesimo anche se amministrato dagli eretici nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, con l’intenzione di fare quello che fa la chiesa, non è un vero battesimo (182): sia anatema.

    5. Se qualcuno afferma che il battesimo è libero, cioè non necessario alla salvezza (183): sia anatema.

    6. Se qualcuno afferma che il battezzato, anche se lo volesse, per quanto pecchi, non può perdere la grazia, a meno che non voglia credere: sia anatema.

    7. Se qualcuno afferma che quelli che vengono battezzati in forza dello stesso battesimo sono obbligati solo a credere e non ad osservare tutta la legge del Cristo: sia anatema.

    8. Se qualcuno afferma che i battezzati sono liberi da tutti i precetti della santa chiesa, sia scritti che tramandati oralmente, cosi che non sono tenuti ad osservarli, a meno che non si vogliano sottomettere ad essi spontaneamente: sia anatema.

    9. Se qualcuno afferma che gli uomini devono essere richiamati alla memoria del battesimo ricevuto in modo che capiscano che tutti i voti formulati dopo il battesimo, in forza della promessa già fatta nello stesso battesimo, sono vani, quasi che con essi si sminuisca la fede, che essi hanno professato, e lo stesso battesimo: sia anatema.

    10. Se qualcuno afferma che tutti i peccati che si commettono dopo il battesimo, per il solo ricordo e la sola fede del battesimo ricevuto vengono perdonati o diventano veniali: sia anatema.

    11. Se qualcuno afferma che un battesimo valido e legittimamente conferito debba essere ripetuto per chi abbia negato presso gli infedeli la fede di Cristo, quando torna a penitenza: sia anatema.

    12. Se qualcuno afferma che nessuno debba essere battezzato, se non all’età in cui fu battezzato Cristo, o addirittura in punto di morte: sia anatema.

    13. Se qualcuno afferma che i bambini, poiché non hanno la capacità di credere, ricevuto il battesimo non devono essere considerati cristiani e quindi divenuti adulti, devono essere ribattezzati; o che è meglio omettere il loro battesimo, piuttosto che battezzarli nella fede della chiesa, senza un loro atto di fede (184): sia anatema.

    14. Se qualcuno afferma che questi bambini, una volta cresciuti, devono essere interrogati, se intendono confermare quello che i padrini, quando furono battezzati, promisero a loro nome, e che qualora rispondessero negativamente, devono essere lasciati padroni di sé stessi e non devono esser costretti alla vita cristiana con altra pena che con l’allontanamento dall’eucarestia e dagli altri sacramenti, fino a che non si ricredano: sia anatema.

    CANONI SUL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE

    1. Se qualcuno afferma che la confermazione dei battezzati è una vana cerimonia (185), e non, invece, un vero e proprio sacramento o che un tempo non è stata altro che un tipo di catechesi, per cui quelli che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della propria fede dinanzi alla chiesa: sia anatema.

    2. Se qualcuno afferma che ingiuriano lo Spirito santo quelli che attribuiscono una certa efficacia al crisma della confermazione: sia anatema.

    3. Se qualcuno afferma che il ministro ordinario della confermazione non è solo il vescovo (186) ma qualsiasi semplice sacerdote: sia anatema.

    Decreto secondo: La riforma

    Il medesimo sacrosanto concilio, sotto la presidenza degli stessi legati, volendo proseguire la trattazione del problema, già iniziato, della residenza e della riforma, a gloria di Dio e ad incremento della religione cristiana, ha creduto bene stabilire quanto segue, salva sempre in ogni prescrizione l’autorità della sede apostolica.

    1. Al governo delle chiese cattedrali non venga assunto se non chi è nato da legittimo matrimonio, ha un’età matura, spicca per serietà di costumi e per la conoscenza delle lettere, conformemente alla costituzione di Alessandro III, che comincia: Cum in cunctis, promulgata nel concilio Lateranense (187).

    2. Nessuno, qualunque possa essere la sua dignità, il suo grado, o la preminenza, osi ricevere e tenere nello stesso tempo, contro le disposizioni dei sacri canoni (188), più chiese metropolitane o cattedrali, in titolo o in commenda, o sotto qualsiasi altra forma, dovendosi stimare fortunato colui, che abbia in sorte di reggere bene, fruttuosamente e con la salvezza delle anime a lui affidate, una sola chiesa. Chi poi, contro quanto prescrive il presente decreto, avesse ora più chiese, ne ritenga una sola, quella che preferisce; sia obbligato a lasciare le altre, entro sei mesi, se esse sono a libera disposizione della santa sede, altrimenti, entro un anno. In caso diverso le stesse chiese (eccettuata solo quella che è stata ottenuta per ultima) siano considerate immediatamente vacanti (189).

    3. I benefici ecclesiastici inferiori, specie quelli che comportano cura d’anime, siano assegnati a persone degne e capaci, che possano risiedere in luogo ed esercitare personalmente la stessa cura, secondo la costituzione di Alessandro III, che comincia: Quia nonnulli, emanata nel concilio lateranense (190), e l’altra di Gregorio X, che inizia: Licet canon, emanata nel concilio generale di Lione (191). Il conferimento o la provvisione fatta in altro modo sia assolutamente nulla e l’ordinario collatore sappia di incorrere nelle pene previste dalla costituzione del concilio generale, che inizia con le parole: Grave nimis (192).

    4. Chiunque, in futuro, credesse di poter ricevere e ritenere nello stesso tempo più benefici con cura d’anime o altri benefici incompatibili, sia per mezzo di una unione a vita, sia in commenda perpetua, o con qualsiasi altra denominazione o titolo, contro le prescrizioni dei sacri canoni, e specialmente della costituzione di Innocenzo III, che inizia: De multa (193), sia privato, in conformità di quanto prescrive la stessa costituzione ed in forza del presente canone, degli stessi benefici.

    5. Gli ordinari locali costringano severamente quelli che hanno più benefici con cura d’anime o altri benefici ecclesiastici incompatibili, a mostrare le proprie dispense e procedano del resto secondo la costituzione di Gregorio X, emanata nel concilio generale di Lione, che comincia: Ordinarii (194), e che questo santo sinodo crede dover rinnovare e di fatto rinnova. Esso aggiunge inoltre che gli stessi ordinari provvedano senz’altro con la designazione di vicari idonei e l’assegnazione di una congrua parte dei frutti, perché in nessun modo venga trascurata la cura delle anime, e gli stessi benefici non manchino assolutamente del servizio dovuto. In ciò, non serviranno a nulla né gli appelli, né i privilegi, né le esenzioni di qualsiasi natura, anche con intervento di giudici speciali per impedire queste disposizioni.

    6. Le unioni perpetue, fatte negli ultimi quarant’anni, possono essere esaminate dagli ordinari come delegati della sede apostolica e quelle che sono state ottenute con sotterfugi o con inganni siano dichiarate nulle. Quelle invece che, concesse da quel tempo in poi, hanno ottenuto solo in parte il loro effetto ed anche quelle che saranno fatte in seguito ad istanza di chiunque, salvo il caso di motivi legittimi o comunque ragionevoli - motivi da verificarsi dinanzi all’ordinario locale, convocati gli interessati - si considerino ottenute con sotterfugi, e quindi (se la sede apostolica non dichiarerà diversamente), non abbiano nessun valore.

    7. I benefici ecclesiastici con cura d’anime, uniti e annessi in perpetuo alle cattedrali, alle collegiate o ad altre chiese e monasteri, benefici, collegi o luoghi pii di qualsiasi tipo, siano visitate ogni anno dagli ordinari locali; essi procureranno con sollecitudine che, con vicari adatti, anche perpetui (a meno che agli ordinari stessi non sembri opportuno far diversamente per il buon governo delle chiese), destinando ad essi la terza parte delle rendite o con una porzione maggiore o minore a giudizio degli stessi ordinari, - da prelevarsi sempre da un cespite certo - venga esercitata lodevolmente la cura delle anime. Ogni appello, ogni privilegio, ogni esenzione, anche con intervento dei giudici e con loro ingiunzione, non avrà nessun effetto.

    8. Gli ordinari locali siano tenuti, ogni anno, a visitare con autorità apostolica tutte le chiese in qualsiasi modo esenti (195) e a provvedere con gli opportuni rimedi giuridici che quelle bisognose di restauro siano riparate, e non siano affatto private né della cura delle anime, se è annessa ad esse, né degli altri servizi loro dovuti. Gli appelli, i privilegi, le consuetudini, anche se stabilite da tempo immemorabile, e le ingiunzioni dei giudici sono del tutto esclusi.

    9. Quelli che sono stati promossi alle chiese maggiori, ricevano la consacrazione entro il tempo stabilito dal diritto (196); proroghe concesse oltre sei mesi non siano riconosciute ad alcuno.

    10. Non è lecito ai capitoli delle chiese, durante la vacanza della sede, concedere ad alcuno, entro un anno dal giorno della medesima, la facoltà di ordinare o le lettere dimissorie o reverende (come alcuni le chiamano), sia in base al diritto comune (197), sia in forza di qualsiasi privilegio o consuetudine, a chi non è costretto dall’occasione di un beneficio ecclesiastico ricevuto o da ricevere.

    Se accade diversamente, il capitolo che contravviene sia sottoposto all’interdetto ecclesiastico e quelli che sono stati ordinati in questo modo, se hanno ricevuto gli ordini minori, siano esclusi da qualsiasi privilegio clericale, specie nelle questioni criminali; se sono stati costituiti negli ordini maggiori, siano sospesi ipso iure dall’esercizio di essi, a giudizio del prelato che verrà.

    11. Le facoltà per essere ordinati da chiunque non saranno valide se non per quelli che hanno una legittima causa, per cui non possono essere ordinati dai propri vescovi; causa che deve essere esposta per iscritto. Ed in questo caso, non vengano ordinati se non da un vescovo che risieda nella sua diocesi, o da chi ne sia stato delegato, e non senza previo diligente esame.

    12. Le facoltà di non promuovere, eccetto i casi espressamente previsti dal diritto (198), valgono solo per un anno.

    13. Quelli che fossero stati presentati, eletti o nominati da qualsivoglia persona ecclesiastica, anche nunzi della sede apostolica, non siano nominati, confermati o ammessi a nessun beneficio ecclesiastico, neppure col pretesto di qualsiasi privilegio o consuetudine, anche se stabilita da tempo immemorabile, se prima non sono stati esaminati dagli ordinari locali e trovati idonei. E nessuno creda di potersi esimere dal subire questo esame, servendosi dell’appello. Sono tuttavia eccettuati coloro che sono stati presentati, eletti, o nominati dalle università o dai collegi degli studi generali.

    14. Nelle cause degli esenti, sia osservata la costituzione di Innocenzo IV, che inizia: Volentes, emanata nel concilio generale di Lione (199), che lo stesso sacrosanto sinodo crede di dover rinnovare e rinnova. E aggiunge che nelle cause civili circa le paghe di persone povere i chierici secolari, o i regolari che vivono fuori del monastero, in qualsiasi modo esenti, anche se hanno un determinato giudice assegnato alle parti dalla sede apostolica, o nelle altre cause se non hanno lo stesso giudice possono esser chiamati dinanzi agli ordinari locali, come delegati in ciò dalla stessa sede apostolica, e esser obbligati e costretti a pagare il debito secondo il diritto comune. I privilegi, le esenzioni, le designazioni dei conservatori e le loro proibizioni contro quanto abbiamo premesso, non serviranno a nulla.

    15. Gli ordinari abbiano cura che gli ospedali di qualsiasi genere vengano governati dai loro amministratori, comunque essi si chiamino ed in qualsiasi modo esenti, con fedeltà e diligenza, secondo la forma della costituzione del concilio di Vienne, che comincia: Quia contingit (200). Lo stesso santo sinodo intende rinnovare e rinnova questa costituzione, con le deroghe che essa contiene.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:52 pm

    Indizione della futura sessione.

    Questo sacrosanto sinodo ha pure stabilito e ordinato che la prossima futura sessione debba tenersi e celebrarsi il giovedì, feria quinta dopo la prossima domenica in Albis, che sarà il giorno 21 aprile del presente anno 1547.



    SESSIONE VIII (11 marzo 1547)

    Decreto sul trasferimento del concilio.

    Vi piace stabilire e dichiarare che dalle premesse e dagli altri allegati risulta chiara e notoria questa malattia così che i prelati non possono rimanere in questa città senza pencolo per la loro vita, e che, quindi, non possono esservi trattenuti contro la loro volontà? Considerata, inoltre, la partenza di molti prelati dopo l’ultima sessione, e le proteste di moltissimi altri nelle congregazioni generali i quali per timore della malattia se ne vogliono andare senz’altro, e giustamente non possono esser trattenuti, ma per la cui partenza il concilio si scioglierebbe o il suo buon andamento sarebbe impedito dall’esiguo numero dei presenti; considerato anche l’imminente pericolo di vita e gli altri motivi allegati da alcuni padri nelle stesse congregazioni generali, che sono notoriamente veri e legittimi, vi piace stabilire e dichiarare che per la salvezza e il proseguimento dello stesso concilio, per la sicurezza della vita dei prelati, il concilio deve essere temporaneamente trasferito nella città di Bologna - come nel luogo maggiormente preparato, sano, idoneo - e che vi si trasferisca fin da questo momento, ed ivi il giorno 21 aprile, come stabilito, debba celebrarsi la sessione già indetta, e si proceda, successivamente, alla trattazione delle altre questioni, fino a che al santissimo signore nostro e al sacro concilio non sembrerà che lo stesso concilio possa e debba esser riportato in questo o in altro luogo; consultato anche l’invittissimo Cesare, il re cristianissimo e gli altri re e principi cristiani? [Risposero: Ci piace].



    SESSIONE IX (21 aprile 1547)

    Decreto di proroga della sessione.

    Questo sacrosanto, ecumenico concilio generale, già riunito nella città di Trento ed ora legittimamente riunito a Bologna nello Spirito santo, presiedendo in esso, - a nome del santissimo padre in Cristo e signore nostro Paolo III, per divina provvidenza papa, - gli stessi reverendissimi signori Giammaria Del Monte, vescovo di Palestrina, e Marcello, presbitero del titolo di Santa Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, considerando che il giorno 11 del mese di marzo del corrente anno, nella sessione pubblica generale, celebrata nella stessa città di Trento e nel luogo consueto, compiuto secondo l’uso tutto quello che doveva compiersi, per cause imminenti, urgenti e legittime, con l’intervento anche dell’autorità della santa sede apostolica, concessa in modo speciale ai reverendissimi presidenti, stabilì e comandò che si dovesse trasferire il concilio da quel luogo a questa città, come in realtà lo trasferì, e che la sessione indetta lì per il presente giorno 21 di aprile (perché fossero sanciti e promulgati i canoni riguardanti i sacramenti e la riforma di cui aveva proposto la trattazione) dovesse celebrarsi in questa stessa città di Bologna.

    Considerando ancora che alcuni dei padri, solitamente presenti in questo concilio, occupati, nei giorni passati della settimana santa e della solennità di Pasqua nelle proprie chiese o trattenuti da altri impedimenti, non sono ancora venuti, - tuttavia si può sperare che tra breve saranno qui -; e che, quindi, le materie stesse dei sacramenti e della riforma non hanno potuto essere esaminate e discusse con quella partecipazione di prelati che lo stesso santo sinodo avrebbe desiderato; affinché tutto sia compiuto con matura riflessione e con la dovuta dignità e serietà, ha creduto e crede bene, opportuno ed utile, che la predetta sessione, che - come accennato - avrebbe dovuto esser celebrata in questo stesso giorno, debba esser rimandata e prorogata al giovedì tra l’ottava di Pentecoste per trattare le stesse materie. Esso ha considerato e considera quel giorno come estremamente adatto per portare a termine la cosa e come comodissimo per i padri, specialmente assenti.

    Aggiunge, tuttavia che lo stesso santo concilio potrà restringere e ridurre quel termine a suo arbitrio e volontà anche in una congregazione privata, in relazione al buon andamento del concilio.



    SESSIONE X (2 giugno 1547)

    Decreto di proroga della sessione.

    Questo sacrosanto concilio ecumenico e generale, per alcuni motivi (e specialmente per l’assenza di alcuni padri, che sperava che potessero esser presenti tra breve), credette bene di differire e prorogare a questo giorno la sessione che avrebbe dovuto aver luogo il 21 di aprile ultimo scorso, sulle materie dei sacramenti e della riforma, in questa illustre città di Bologna, secondo il decreto promulgato nella città di Trento, in pubblica sessione, il giorno 21 di marzo.

    E tuttavia, volendo mostrarsi ancora benigno con quelli che non sono venuti, lo stesso sacrosanto sinodo, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi cardinali della santa chiesa romana, legati della sede apostolica, ha stabilito e disposto che la stessa sessione, che aveva deciso doversi celebrare in questo 2 giugno del presente anno 1547, sia rimandata e prorogata, per la trattazione delle predette e di altre materie, al giovedì dopo la festa della natività della beata Maria vergine. Durante questo tempo non sia interrotta la discussione e l’esame delle materie relative sia ai dogmi che alla riforma, e lo stesso santo concilio possa abbreviare e prorogare a suo arbitrio e volontà, anche in una congregazione privata, questo stesso termine.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:52 pm

    SESSIONE XI (10 maggio 1551)

    Decreto di riapertura del concilio.

    Reverendissimi e illustrissimi signori reverendi padri credete opportuno, a lode e gloria della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della religione cristiana, che il sacro concilio ecumenico e generale di Trento debba riprendere secondo la forma e il contenuto delle lettere del santissimo signore nostro, e che si debba procedere oltre? [Risposero: sì].

    Indizione della futura sessione.

    Reverendissimi e illustrissimi signori reverendi padri, credete opportuno che la prossima, futura sessione si debba tenere e celebrare il 10 settembre futuro? [Risposero: sì].


    --------------------------------------------------------------------------------

    Note


    172. Cfr. Concilio fiorentino, decreto per gli Armeni (v. sopra) c. 9, X, V, 7 (Fr 2, 780).
    173. Cfr. c. 8, D. II, de cons. (Fr 1, 1317).
    174. Cfr. Sessione VI, decreto sulla giustificazione, cap. 7 e can. 9 (v. sopra).
    175. Cfr. Concilio fiorentino, decreto per gli Armeni (v. sopra).
    176. Ibidem.
    177. Cfr. Concilio di Costanza, Sessione VIII, art 4 di G. Wicliff (v. sopra).
    178. Cfr. AGOSTINO, In Io. evang., V, 18 (C Chr 36, 51); Ench. 48 (PL 40, 255 seg.); cc. 39 e 135 D, IV. de cons. (Fr 1, 1375 e 1406).
    179. Cfr. c. 5, X, III, 42 (Fr 2, 647).
    180. Gv 3, 5.
    181. Cfr. c. 9, X, V, 7 (Fr 2, 780).
    182. Cfr. AGOSTINO, Contra ep. Parm., II, 13 (CSEL 51, 77-79); C. I, q. 1 (Fr 1, 393).
    183. Cfr. Gv 3, 5; AGOSTINO, De peccat. meritis, I, 23 (CSEL 60, 32-33): c. 142, D. IV, de cons. (Fr 1, 1408).
    184. AGOSTINO, De peccat. meritis, I, 25 (CSEL 60, 35-37); c. 139, D. IV, de cons. (Fr 1. 1407).
    185. Cfr. Concilio Arausicano, I (441), c. 2 (Msi 6, 435).
    186. Cfr. Concilio fiorentino (v. sopra).
    187. Concilio Lateranense III, c. 2 (COD, 212).
    188. Cfr. c. 2, D. LXX (Fr 1, 257).
    189. Cfr. il decreto concistoriale di Paolo III (18.II.1547), in CT V, 981.
    190. Concilio Lateranense III, c. 13 (COD. 218).
    191. Concilio di Lione II, c. 13 (v. sopra).
    192. Concilio Lateranense IV, c. 30 (v. sopra).
    193. Concilio Lateranense IV, c. 29 (v. sopra).
    194. Concilio di Lione II, c. 18 (v. sopra).
    195. Cfr. cc. 1O-12, C. X, q. 1 (Fr 1, 615).
    196. Cioè entro tre mesi, cfr. concilio di Calcedonia, c. 25 (v. sopra).
    197. Cfr. c. 3, I. 9. in VI (Fr 2, 975).
    198. Cfr. Concilio di Lione II, c. 13 (v. sopra).
    199. In verità fu edita da Innocenzo IV dopo il concilio.
    200. Concilio di Vienne. c. 17 (COD, 374-376).
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:54 pm

    SESSIONE XII (10 settembre 1551)

    Decreto di proroga della sessione.

    Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della sede apostolica, che nella passata ultima sessione aveva decretato che la seguente presente sessione avrebbe dovuto tenersi oggi per procedere ad ulteriori argomenti, per l’assenza dell’illustre nazione Germanica (il cui caso è principalmente in discussione) e per lo scarso numero degli altri padri ha differito, finora, di procedere.

    Ora esso, mentre si rallegra nel Signore per la venuta dei venerabili fratelli in Cristo e figli suoi: gli arcivescovi di Magonza e di Treviri, elettori del sacro romano impero, e di moltissimi vescovi di quella e di altre province, avvenuta in questo stesso giorno, e rende degne grazie a Dio onnipotente, e spera che moltissimi altri prelati, sia della stessa Germania che di altre nazioni, mossi dalla considerazione del proprio dovere e da questo esempio, possano presto venire, indice la futura sessione per il quarantesimo giorno, ossia per l’11 di ottobre prossimo venturo. E proseguendo il concilio dal punto in cui si trovava, stabilisce e dispone che, essendo stato definito nelle sessioni passate quanto riguarda i sette sacramenti della nuova legge in genere, e il battesimo e la confermazione in particolare, si debba discutere e trattare del sacramento della santissima eucarestia, ed anche - per quanto riguarda la riforma - delle altre cose, che riguardano una più facile e più comoda residenza dei prelati.

    Ammonisce anche ed esorta tutti i padri, perché frattanto, secondo l’esempio del nostro signore Gesù Cristo (per quanto, naturalmente, lo permetterà la fragilità umana), attendano ai digiuni e all’orazione, perché finalmente Dio (che sia benedetto nei secoli!), placato, si degni ricondurre i cuori alla conoscenza della sua vera fede, all’unità della santa madre chiesa e alla norma del retto vivere.



    SESSIONE XIII (11 ottobre 1551)

    Decreto sul santissimo sacramento dell’eucarestia.

    Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della Sede Apostolica, benché non senza una particolare guida e ammaestramento dello Spirito santo si sia raccolto per esporre, cioè, la vera e antica dottrina della fede e dei sacramenti e rimediare a tutte le eresie e agli altri gravissimi mali, da cui la chiesa di Dio è ora miseramente travagliata e divisa in molte e diverse parti, questo, tuttavia, fin da principio si prefisse in modo particolare: strappare dalle radici la zizzania degli abominevoli errori e degli scismi, che il nemico in questi nostri tempi procellosi ha sovraseminato (201) sulla dottrina della fede, sull’uso e sul culto della sacrosanta eucarestia, che, d’altra parte, il nostro Salvatore ha lasciato nella sua chiesa come segno di unita e di amore, con cui volle che tutti i cristiani fosse congiunti ed uniti fra loro.

    Quindi lo stesso sacrosanto sinodo intende proporre su questo venerabile e divino sacramento dell’eucarestia, la sana, pura dottrina che la chiesa cattolica, istruita dallo stesso Gesù Cristo, nostro signore, e dagli apostoli, e sotto l’influsso dello Spirito santo, che le suggerisce (202) di giorno in giorno ogni verità, ha sempre ritenuto e riterrà fino alla fine del mondo. Esso, quindi, proibisce a tutti i fedeli cristiani di osare in seguito, di credere, insegnare o predicare diversamente da come è stato spiegato e definito da questo presente decreto.

    Capitolo I.

    Della presenza reale del signore nostro Gesù Cristo nel santissimo sacramento dell’eucarestia.

    Prima di tutto questo santo sinodo insegna e professa chiaramente e semplicemente che nel divino sacramento della santa eucarestia, dopo la consacrazione del pane e del vino, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente, sotto l’apparenza di quelle cose sensibili, il nostro signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

    Non sono, infatti, in contrasto fra loro questo due cose: che lo stesso nostro Salvatore sieda sempre nei cieli alla destra del Padre, secondo il modo naturale di esistere, e che, tuttavia, presente in molti altri luoghi, sia presso di noi con la sua sostanza, sacramentalmente, con quel modo di esistenza, che, anche se difficilmente possiamo esprimere a parole, possiamo, tuttavia, comprendere con la nostra mente, illuminata dalla fede, essere possibile a Dio (203), e che anzi dobbiamo credere fermissimamente. Questo, infatti, tutti i nostri padri, che vissero nella vera chiesa di Cristo, e che hanno trattato di questo santissimo sacramento, hanno professato chiarissimamente: che il nostro Redentore ha istituito questo meraviglioso sacramento nell’ultima cena, quando, dopo la benedizione del pane e del vino, affermò con parole esplicite e chiare di dare ad essi il proprio corpo e il proprio sangue.

    Queste parole, riportate dai santi evangelisti (204), e ripetute poi da S. Paolo (205), hanno per sé quel significato proprio e chiarissimo, secondo cui sono state comprese dai padri, è pertanto sommamente indegno che esse vengano distorte da alcuni uomini rissosi e corrotti a immagini fittizie e immaginarie, con le quali è negata la verità della carne e del sangue di Cristo, contro il senso generale della chiesa, la quale come colonna e sostegno della verità (206), ha detestato come sataniche queste costruzioni fantastiche, escogitate da uomini empi, riconoscendo con animo sempre grato e memore questo preziosissimo dono di Cristo.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:54 pm

    Capitolo II.

    Del modo come è stato istituito questo santissimo sacramento.

    Il Signore, quindi, nell’imminenza di tornare da questo mondo al Padre, istituì questo sacramento. In esso ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi (207), e ci ha comandato (208) di onorare, nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare la sua morte, fino a che egli venga (209) a giudicare il mondo.

    Egli volle che questo sacramento fosse ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio (210) e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali.

    Volle, inoltre, che esso fosse pegno della nostra gloria futura e della gioia eterna; e quindi simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo (211), e a cui volle che noi fossimo congiunti, come membra, dal vincolo strettissimo della fede, della speranza e della carità, perché tutti professassimo la stessa verità, e non vi fossero scismi fra noi (212).

    Capitolo III.

    Eccellenza della santissima eucarestia sugli altri sacramenti.

    La santissima eucarestia ha questo di comune con gli altri sacramenti: che è simbolo di una cosa sacra e forma visibile della grazia invisibile (213).

    Tuttavia in essa vi è questo di eccellente e di singolare: che gli altri sacramenti hanno il potere di santificare solo quando uno li riceve, mentre nell’eucarestia vi è l’autore della santità già prima dell’uso. Difatti gli apostoli non avevano ancora ricevuto l’eucarestia dalla mano del Signore (214) e già Egli affermava che quello che Egli dava era il suo corpo. Sempre vi è stata nella chiesa di Dio questa fede, che, cioè, subito dopo la consacrazione, vi sia, sotto l’apparenza del pane e del vino, il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue, insieme con la sua anima e divinità. In forza delle parole, il corpo è sotto la specie del pane e il sangue sotto la specie del vino; ma lo stesso corpo sotto la specie del vino, e il sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie, in forza di quella naturale unione e concomitanza, per cui le parti di Cristo Signore, che ormai è risorto dai morti e non muore più (215), sono unite fra loro; ed inoltre la divinità per quella sua ammirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima.

    È quindi verissimo che sotto una sola specie si contiene tanto, quanto sotto l’una e l’altra. Cristo, infatti, è tutto e intero sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente è tutto sotto la specie del vino e sotto le sue parti.

    Capitolo IV.

    La transustanziazione.

    Poiché, poi, Cristo, nostro redentore, disse che era veramente il suo corpo ciò che dava sotto la specie del pane (216), perciò fu sempre persuasione, nella chiesa di Dio, - e lo dichiara ora di nuovo questo santo concilio - che con la consacrazione del pane e del vino si opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, nostro signore (217), e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue.

    Questa trasformazione, quindi, in modo adatto e proprio è chiamata dalla santa chiesa cattolica transustanziazione.

    Capitolo V.

    Del culto e della venerazione dovuti a questo santissimo sacramento.

    Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutti i fedeli cristiani secondo l’uso sempre ritenuto nella chiesa cattolica, debbano rendere a questo santissimo sacramento nella loro venerazione il culto di latria, dovuto al vero Dio.

    Non è, infatti, meno degno di adorazione, per il fatto che sia stato istituito da Cristo signore per essere ricevuto. Crediamo, infatti, che è presente in esso lo stesso Dio, di cui l’eterno Padre, introducendolo nel mondo, dice: E lo adorino tutti i suoi angeli (218); che i magi, prostrandosi, adorarono (219), che la scrittura attesta essere stato adorato in Galilea dagli apostoli (220).

    Dichiara, inoltre, il santo concilio, che con pensiero molto pio e religioso è stato introdotto nella chiesa di Dio l’uso di celebrare ogni anno con singolare venerazione e solennità e con una particolare festività questo nobilissimo e venerabile sacramento, e di portarlo con riverenza ed onore per le vie e per i luoghi pubblici, nelle processioni (221). È giustissimo, infatti, che siano stabiliti alcuni giorni festivi, in cui tutti i cristiani manifestino con cerimonie particolari e straordinarie il loro animo grato e memore verso il comune Signore e Redentore, per un beneficio così ineffabile e divino, con cui viene ricordata la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte.

    Ed era necessario che la verità trionfasse talmente sulla menzogna e sull’eresia, perché i suoi avversari, posti dinanzi a tanto splendore e a tanta letizia della chiesa universale, o vengano meno, disfatti e vinti, o presi e confusi dalla vergogna, si ricredano.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:54 pm

    Capitolo VI.

    Della conservazione del sacramento della santa eucarestia e del dovere di portarlo agli infermi.

    L’uso di conservare la santa eucarestia in un tabernacolo è così antico che fu conosciuto anche ai tempi del concilio di Nicea (222).

    Che poi la stessa santa eucarestia venga portata agli infermi, e che a questo scopo venga diligentemente conservata nelle chiese, oltre che esser sommamente giusto e ragionevole, è anche comandato da molti concili (223) ed è stato predicato con antichissima consuetudine dalla chiesa cattolica.

    Questo santo sinodo, perciò, stabilisce che quest’uso del tutto salutare e necessario debba esser conservato.

    Capitolo VII.

    Della preparazione necessaria per ricevere degnamente la santa eucarestia.

    Se non è lecito ad alcuno partecipare a qualsiasi sacra funzione, se non santamente, certo, quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore (221).

    Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (225). E la consuetudine della chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucarestia senza aver premesso la confessione sacramentale.

    Il santo sinodo stabilisce che questa norma si debba sempre osservare da tutti i cristiani, anche da quei sacerdoti che sono tenuti per il loro ufficio a celebrare, a meno che non manchino di un confessore. Se poi, per necessità, il sacerdote celebrasse senza essersi prima confessato, si confessi al più presto.

    Capitolo VIII.

    Dell’uso di questo ammirabile sacramento.

    Quanto al retto e sapiente uso, i nostri padri distinsero tre modi di ricevere questo santo sacramento. Dissero, infatti, che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come i peccatori. Altri solo spiritualmente, quelli, cioè che desiderando di mangiare quel pane celeste, loro proposto, con fede viva, che agisce per mezzo dell’amore (226), ne sentono il frutto e l’utilità. Gli altri lo ricevono sacramentalmente e spiritualmente insieme, e sono quelli che si esaminano e si preparano talmente prima, da avvicinarsi a questa divina mensa vestiti della veste nuziale (227).

    Nel ricevere la comunione sacramentale fu sempre uso, nella chiesa di Dio, che i laici la ricevessero dai sacerdoti; e che i sacerdoti che celebrano si comunicassero da sé. Quest’uso, che deriva dalla tradizione apostolica, deve a buon diritto esser osservato.

    Finalmente questo santo sinodo con affetto paterno esorta, prega e supplica, per la misericordia del nostro Dio (228), che tutti e singoli i cristiani convengano una buona volta e siano concordi in questo segno di unità, in questo legame di amore, in questo simbolo di concordia; e che, memori di tanta maestà e di così meraviglioso amore di Gesù Cristo, nostro signore, che sacrificò la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza, e ci diede la sua carne da mangiare (229), credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con tale costanza e fermezza di fede, con tale devozione dell’anima, con tale pietà ed ossequio, da poter ricevere frequentemente quel pane supersostanziale (230), ed esso sia davvero per essi vita dell’anima e perpetua sanità della mente, cosicché, rafforzati dal suo vigore, da questo triste pellegrinaggio possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso pane degli angeli (231), che ora mangiano sotto sacre specie.

    Ma poiché non basta dire la verità, se non si scoprono e non si ribattono gli errori, è piaciuto al santo sinodo aggiungere questi canoni, di modo che tutti, conosciuta ormai la dottrina cattolica, sappiano anche da quali eresie devono guardarsi e devono evitare.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:55 pm

    CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA

    1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema.

    2. Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, - sia anatema.

    3. Se qualcuno dirà che nel venerabile sacramento dell’eucarestia, fatta la separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in ognuna delle parti di ciascuna specie, sia anatema.

    4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.

    5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucarestia è la remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia anatema.

    6. Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema.

    7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarestia nel tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema.

    8. Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’eucarestia, si mangia solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema.

    9. Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della santa madre chiesa, sia anatema.

    10. Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se stesso, sia anatema.

    11. Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima eucarestia, sia anatema.

    E perché un così grande sacramento non sia ricevuto indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo sinodo stabilisce e dichiara che quelli che hanno la consapevolezza di essere in peccato mortale, per quanto essi credano di essere contriti, se vi è un confessore, devono necessariamente premettere la confessione sacramentale.

    Se poi qualcuno crederà di poter insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o anche difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia scomunicato.

    Decreto di riforma.

    Lo stesso santo concilio Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della sede apostolica, volendo stabilire alcune norme sulla giurisdizione dei vescovi; perché essi, conformemente al decreto dell’ultima sessione, tanto più volentieri risiedano nelle chiese loro affidate, quanto più facilmente e opportunamente possono governare e contenere i loro soggetti nell’onestà della vita e dei costumi, crede bene, come prima cosa, ammonirli di ricordarsi che essi sono dei pastori, non dei tiranni (232), e che è necessario comandare ai sudditi non in modo da dominare su di essi, ma da amarli come figli e fratelli; e a far sì che, esortando ed ammonendo, li allontanino da ciò che è illecito, perché non debbano poi, una volta che abbiano mancato, punirli con le pene dovute.

    E tuttavia, se essi dovessero mancare in qualche cosa per umana fragilità, devono osservare quel precetto dell’apostolo: di riprenderli, cioè, di pregarli, di rimproverarli con ogni bontà e pazienza (233): poiché spesso con quelli che devono essere corretti vale più la benevolenza, che la severità; più l’esortazione, che le minacce, più l’amore che lo sfoggio di autorità (234).

    Se poi fosse necessario, per la gravità della mancanza, usare la verga, allora con la mansuetudine bisogna usare il rigore, con la misericordia il castigo, con la bontà la severità, perché, pur senza asprezza, sia conservata quella disciplina che è salutare e necessaria ai popoli; e quelli che vengono corretti, si emendino, o se non volessero tornare sulla buona via, gli altri si astengano dai vizi con l’esempio salutare della punizione contro di essi, essendo ufficio del pastore diligente e pio, prima usare i rimedi più miti per i mali delle sue pecore; poi, se la gravità della malattia lo richieda, procedere a rimedi più forti e più gravi. E se neppure questi portassero a qualche risultato, egli dovrà evitare il pericolo del contagio almeno per le altre pecore, separandole (235).

    Poiché, quindi, i rei di delitti, spesso, per evitare le pene e per sfuggire il giudizio dei vescovi adducono lamenti e aggravi e col diversivo dell’appello impediscono il processo del giudice, perché essi non debbano abusare di un rimedio, istituito a difesa dell’innocenza, a favore della loro malvagità, e, quindi, perché si possa ovviare alla loro furberia e alla loro tergiversazione, così, il santo concilio stabilisce e decreta:

    Canone I

    Nelle cause che riguardano la visita e la correzione, o la capacità e l’inabilità, così pure in quelle criminali, prima della sentenza definitiva non si appelli contro il vescovo o il suo vicario generale per le questioni religiose, per la sentenza interlocutoria o per qualsiasi altro aggravio; e il vescovo, o il suo vicario, non sono tenuti a tener conto di questo appello, considerandolo di nessuna importanza. Non ostante questo appello, anzi, e qualsiasi proibizione emanata dal giudice di appello, ed ogni uso e consuetudine contraria, anche immemorabile, essi possano procedere oltre, a meno che questo aggravio non possa essere riparato con la sentenza definitiva, o non si possa fare appello dalla sentenza definitiva. In questi casi rimangono intatte le norme degli antichi canoni (236).

    Canone II

    Una causa di appello in materia criminale (dove l’appello è ammesso) contro la sentenza del vescovo, o del suo vicario generale, se dev’essere assegnata in partibus per autorità apostolica, sia affidata al metropolita, o anche al suo vicario generale per gli affari spirituali; o, se egli per qualche motivo fosse sospetto, o fosse lontano più dei due giorni di cammino legali, o fosse stato appellato contro di lui ad uno dei vescovi più vicini o ai loro vicari; mai però a giudici inferiori.

    Canone III

    Il reo che, in una causa criminale, si appella dal vescovo, o dal suo vicario generale nelle cose spirituali, deve portare senz’altro dinanzi al giudice, a cui si è appellato, gli atti della prima istanza; ed il giudice non proceda alla sua assoluzione se non dopo aver visto questi atti.

    Chi ha appellato entro i trenta giorni consegni gratuitamente gli stessi atti; in caso contrario, la causa di appello sia conclusa senza di essi, come la giustizia richiederà.

    Qualche volta, inoltre, i delitti commessi dalle persone ecclesiastiche sono talmente gravi, che per la loro atrocità meritano di esser deposte dai sacri ordini e consegnate al braccio secolare. In tali casi si richiede, secondo i sacri canoni, un dato numero di vescovi; dato che, se fosse difficile poterli avere tutti, ne sarebbe differita la debita esecuzione del diritto; e se qualche volta potessero radunarsi, sarebbe interrotta la loro residenza, il santo concilio ha stabilito e deciso:

    Canone IV

    Sia lecito a un vescovo, personalmente o per mezzo d suo vicario generale per le cose spirituali, procedere anche alla condanna e alla deposizione verbale di un chierico costituito negli ordini sacri e anche nel presbiterato; personalmente, (può procedere) anche alla degradazione attua e solenne dagli stessi ordini e gradi ecclesiastici, - nei casi in cui si richiede la presenza degli altri vescovi in un numero definito dai canoni, - anche senza di essi, chiamando tuttavia, e facendosi assistere in ciò da altrettanti abati che abbiano l’uso della mitra e del pastorale per privilegio apostolico, se possono facilmente trovarsi nella città e nella diocesi e possono agevolmente esser presenti. In caso diverso, si facciano assistere da altre persone costituite in dignità ecclesiastica, insigni per età e raccomandabili per la conoscenza del diritto.

    E poiché con finti motivi - che tuttavia sembrano assai plausibili - avviene qualche volta, che qualcuno strappi tali grazie, per cui o vengono del tutto condonate o vengono diminuite le pene inflitte loro dai vescovi con giusta severità, non dovendosi soffrire che la menzogna, che tanto dispiace a Dio, non solo rimanga impunita in se stessa, ma ottenga anche il perdono di un alto delitto per chi mentisce, il santo concilio stabilisce e dispone:

    Canone V

    Il vescovo, residente nella sua chiesa, in caso di reticenza o falsità per ottenere una grazia, impetrata con false preghiere (circa l’assoluzione di un pubblico crimine o delitto di cui egli aveva già cominciato l’inchiesta giudiziaria; circa la remissione di una pena, alla quale chi ha commesso il crimine fosse stato già da lui condannato) ne prenda personale conoscenza, anche sommariamente, come delegato della sede apostolica e quando consti legittimamente che la stessa grazia sia stata ottenuta con la narrazione del falso o con la dissimulazione della verità, non riconosca tale grazia.

    Poiché i sudditi, anche se siano stati a buon diritto corretti (dal vescovo), sono soliti odiarlo moltissimo e, quasi che avessero ricevuto ingiuria, accusarlo di falsi crimini, per dargli in qualsiasi modo fastidio, e così il timore delle noie, cui va incontro, lo rende tardo nel ricercare e punire i loro delitti; per questo, affinché egli non sia costretto, con danno suo e della chiesa, ad abbandonare il gregge che gli è stato affidato, e ad andare qua e là, non senza diminuzione della dignità vescovile, il concilio ha stabilito e deciso:

    Canone VI

    Il vescovo non sia in nessun modo citato o ammonito a comparire personalmente, se non per un motivo per cui dovrebbe esser deposto o privato della sua dignità, anche se si procede ex officio, o per inquisizione o denunzia, o per accusa, o in qualsiasi altro modo.

    Canone VII

    I testimoni di informazioni o indizi in una causa criminale o, comunque, in una causa principale contro un vescovo, non siano ammessi, se la loro testimonianza non conviene con quella di altri e se non sono di buona condotta, di buona fama, e di buona stima. Se poi deponessero qualche cosa per odio, per temerità e per cupidigia, siano puniti gravemente.

    Canone VIII

    Le cause dei vescovi, quando per la natura del delitto loro contestato debbano comparire dinanzi al giudice, siano portate dinanzi al sommo pontefice, e da lui siano concluse.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:55 pm

    Decreto di proroga per la definizione dei quattro articoli sul sacramento dell’eucarestia e del salvacondotto.

    Lo stesso santo sinodo, desiderando togliere, come spine dal campo del Signore, tutti gli errori, che sono recentemente ripullulati intorno a questo santissimo sacramento, e provvedere alla salvezza di tutti i fedeli, dopo aver offerto piamente a Dio onnipotente quotidiane preghiere, tra gli altri articoli, riguardanti questo sacramento, trattati con diligentissima ricerca della verità cattolica, dopo moltissime discussioni, come richiedeva la gravità dell’argomento, dopo aver chiesto il parere di teologi di primo piano, avrebbe voluto trattare anche questi:

    1. Se sia necessario alla salvezza e comandato dalla legge divina, che i singoli fedeli ricevano lo stesso venerabile sacramento sotto le due specie.

    2. Se per caso chi si comunica sotto una sola specie, non riceva meno di chi si comunica sotto tutte e due.

    3. Se la santa madre chiesa non abbia errato dando la comunione ai laici e a quelli che non celebrano sotto una sola specie.

    4. Se anche i bambini debbano ricevere la comunione.

    Ma poiché dalla nobilissima provincia della Germania quelli che si dicono "Protestanti" desiderano essere ascoltati dal santo concilio su questi stessi articoli, prima che siano definiti; ed a questo scopo hanno chiesto ad esso un pubblica garanzia, perché possano senza alcun pericolo venire qua, dimorare in questa città, parlare liberamente al concilio e proporre quello che essi pensano, e poi, quando credono, potersene tornare, questo santo sinodo, quantunque abbia atteso con grande desiderio la loro venuta già per molti mesi, tuttavia, come pia madre che geme e partorisce (237), desiderando sommamente e volendo far del suo meglio perché non vi siano scismi tra i cristiani (238), e che, come tutti riconoscono lo stesso Dio e Redentore, così dicano, credano e professino le stesse cose (239), confidando nella divina misericordia e sperando che essi possano essere ricondotti alla santissima e salutare concordia di una sola fede, speranza e carità, volentieri usa loro questo riguardo e ha dato e concesso la sicurezza e la pubblica assicurazione, o salvacondotto, come hanno chiesto, per quanto lo riguarda, nel modo che seguirà, e per loro riguardo ha rimandato la definizione di quegli articoli alla seconda sessione, che ha indetto per la festa della conversione di S. Paolo, che sarà il 25 del mese di gennaio del prossimo anno. Ciò perché essi possano con loro comodo essere presenti.

    Stabilisce, inoltre, che in quella stessa sessione si tratti del sacrificio della messa, per lo stretto legame che vi è fra l’uno e l’altro argomento.

    Intanto ha stabilito che nella prossima sessione debba trattarsi dei sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione; che essa debba tenersi nella festa di santa Caterina vergine e martire, che sarà il 25 di novembre; ed anche che nell’una e nell’altra sessione venga proseguita la materia della riforma.

    Salvacondotto dato ai protestanti tedeschi dal sacro concilio di Trento.

    Il sacrosanto concilio generale di Trento, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della santa sede, concede - per quanto spetta ad esso - la pubblica fede e la piena sicurezza che chiamano "Salvacondotto" - a tutte e singole quelle persone, sia ecclesiastiche che secolari, di tutta la Germania, di qualsiasi grado, stato, condizione e qualità esse siano, le quali vorranno venire a questo concilio ecumenico e generale, perché possano con tutta libertà conferire, proporre e trattare di quegli argomenti che devono esser trattati nello stesso concilio; perché possano liberamente e con tranquillità venire allo stesso concilio ecumenico e rimanere e dimorare in esso, proporre, sia per iscritto, che oralmente, tutti quegli articoli che vorranno, e discutere con i Padri o con quelli che saranno stati scelti dallo stesso sinodo e disputare, senza usare modi ingiuriosi ed offensivi; e che, inoltre, quando essi crederanno, possano tornarsene via.

    Concediamo questo salvacondotto con tutte e singole le clausole e i decreti necessari ed opportuni, anche se essi dovessero essere espressi in modo speciale e non con espressioni generiche, e che si intendono come espressi.

    È sembrato bene, inoltre, al santo sinodo che se essi per loro maggiore libertà e sicurezza, desiderassero che vengano scelti dei giudici, sia per i delitti già perpetrati che per quelli che possano esser commessi da loro in futuro, li nominino pure a loro gradimento, anche se gli stessi delitti fossero enormemente grandi e riguardassero l’eresia.



    SESSIONE XIV (25 novembre 1551)

    Dottrina dei santissimi sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione.

    Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della santa sede, quantunque del sacramento della penitenza si sia parlato molto nel decreto sulla giustificazione quasi necessariamente, per la stretta relazione degli argomenti, è tanto, tuttavia, in questa nostra età, il cumulo dei diversi errori su di esso, che non sarà di poca utilità pubblica dare di esso una definizione più esatta e più completa. In essa, messi a nudo e abbattuti tutti gli errori con l’aiuto dello Spirito santo, la verità cattolica diverrà più chiara e più evidente. Questo santo sinodo la propone ora a tutti i cristiani, perché la conservino per sempre.

    Capitolo I.

    Della necessità e della istituzione del sacramento della penitenza.

    Se in tutti i rigenerati la gratitudine verso Dio fosse tale, da conservare per sempre la giustizia ricevuta, per suo beneficio e grazia, nel battesimo, non sarebbe stato necessario che fosse istituito un altro sacramento diverso dal battesimo stesso, per la remissione dei peccati.

    Ma Dio, ricco di misericordia (240), conosce la nostra debolezza (241), ha trovato il rimedio della vita anche per quelli che si fossero, poi, consegnati alla schiavitù del peccato e al potere dei demoni, e cioè il sacramento della penitenza, con cui a chi cade dopo il battesimo, è applicato il beneficio della morte di Cristo.

    La penitenza è stata sempre necessaria, per conseguire la grazia e la giustificazione, a qualsiasi uomo, che si fosse macchiato di peccato mortale, anche a quelli che domandano di essere lavati col sacramento del battesimo, perché, rinunciando al male e correggendolo, mostrassero di detestare una così grande offesa, fatta a Dio, con l’odio del peccato e col pio dolore dell’anima. Per questo il profeta disse: Convertitevi e fate penitenza di tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non vi sarà di rovina (242). Anche il Signore disse: Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo (243). E Pietro, il primo degli apostoli, ai peccatori che si preparavano al battesimo diceva, raccomandando la penitenza: Fate penitenza, e ognuno di voi sia battezzato (244).

    La penitenza, inoltre, né prima della venuta del Cristo era un sacramento, né dopo la sua venuta, per nessuno, prima del battesimo. Il Signore, poi, istituì il sacramento della penitenza principalmente quando, risorto dai morti, soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito santo; a coloro, cui rimetterete i peccati, saranno rimessi. A coloro cui li riterrete, saranno ritenuti (245).

    Che con questo avvenimento così importante e con queste parole così chiare, sia stato comunicato agli apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere o di ritenere i peccati, per riconciliare i fedeli caduti dopo il battesimo, il consenso di tutti i padri l’ha sempre così interpretato e la chiesa cattolica rigettò e condannò con piena ragione come eretici i Novaziani, che un tempo negavano ostinatamente il potere di rimettere i peccati.

    Perciò questo santo sinodo, approvando e accogliendo questo verissimo senso di quelle parole del Signore, condanna le fantastiche interpretazioni di quelli che traggono falsamente quelle parole a significare il potere di predicare la parola di Dio e di annunziare il vangelo del Cristo, contro l’istituzione di questo sacramento.

    Capitolo II.

    Differenza tra il sacramento della penitenza e il battesimo.

    Del resto questo sacramento differisce dal battesimo per molte ragioni. Infatti, oltre che esser diversissimi per la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del sacramento, è certo che il ministro del battesimo non deve essere un giudice. La chiesa, infatti, non esercita su nessuno il suo giudizio, se prima non è entrato a far parte di essa attraverso la porta del battesimo. Che interessa a me (afferma l’apostolo) giudicare quelli che sono fuori? (246).

    Diversamente, invece, agisce con quelli che sono suoi familiari nella fede (247), una volta che il signore Gesù li ha fatti membra del suo corpo col lavacro del battesimo (248). Se questi, infatti, dopo, si fossero contaminati con qualche peccato, essa volle non già che fossero purificati ripetendo il battesimo (cosa che nella chiesa cattolica non è in nessun modo possibile), ma che comparissero dinanzi a questo tribunale come rei, affinché con la sentenza del sacerdote potessero essere liberati non una volta soltanto, ma tutte le volte che, pentendosi dei peccati commessi, cercassero rifugio presso di lui.

    Altro, poi, è il frutto del battesimo, altro quello della penitenza. Col battesimo, infatti, rivestendo Cristo (249), diventiamo in lui una creatura del tutto nuova, conseguendo la piena e totale remissione di tutti i peccati. Ora col sacramento della penitenza non è possibile giungere ad un tale rinnovamento ed integrità senza grandi gemiti e fatiche, date le esigenze della divina giustizia. Così che a buon diritto la penitenza è stata chiamata dai santi padri (250), in certo modo, un battesimo laborioso.

    Per coloro che sono caduti dopo il battesimo questo sacramento della penitenza è necessario alla salvezza, come lo stesso battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati.

    Capitolo III.

    Parti e frutto di questo sacramento.

    Insegna, inoltre, il santo sinodo, che la forma del sacramento della penitenza, nella quale è posta tutta la sua efficacia, è in quelle parole del ministro: lo ti assolvo ecc., alle quali, nell’uso della santa chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere, ma che non appartengono in nessun modo all’essenza della forma e non sono necessarie all’amministrazione del sacramento.

    Sono quasi materia di questo sacramento gli atti dello stesso penitente e cioè: la contrizione, la confessione, la soddisfazione. E poiché questi si richiedono, nel penitente, per l’integrità del sacramento e per la piena e perfetta remissione dei peccati, per questo sono considerati parti della penitenza.

    Sostanza ed effetto di questo sacramento, per quanto riguarda la sua azione e la sua efficacia, è la riconciliazione con Dio, che non di rado nelle persone pie e che ricevono questo sacramento con devozione, suole essere accompagnata da pace e serenità della coscienza e da vivissima consolazione dello spirito.

    Insegnando queste cose sulle parti e sull’effetto di questo sacramento, il concilio condanna nello stesso tempo le opinioni di coloro che affermano essere parti della penitenza i terrori della coscienza e la fede.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:56 pm

    Capitolo IV.

    La contrizione

    La contrizione, che tra i suddetti atti del penitente occupa il primo posto, è il dolore dell’animo e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire.

    Questo atto della contrizione è stato sempre necessario per impetrare la remissione dei peccati. Nell’uomo caduto in peccato dopo il battesimo, esso prepara alla remissione dei peccati solo se congiunto con la fiducia della divina misericordia e col desiderio di fare ciò che ancora si richiede per ricevere nel modo dovuto questo sacramento.

    Dichiara, quindi, il santo sinodo, che questa contrizione include non solo la cessazione del peccato e il proposito e l’inizio di una nuova vita, ma anche l’odio della vecchia vita, conforme all’espressione: Allontanate da voi tutte le vostre iniquità, con cui avete prevaricato e costruitevi un cuore nuovo ed un’anima nuova (251).

    Certamente colui che riflette su quelle grida dei santi: Ho peccato contro te solo ed ho compiuto il male contro di te (252); sono stanco di gemere, vado lavando ogni notte il mio giaciglio (253); ripenserò a tutti i miei anni, nell’amarezza della mia anima (254), e su altre simili, comprenderà facilmente che esse provenivano da un odio veramente profondo della vita passata e da una grande detestazione del peccato.

    Insegna, inoltre, il concilio che, se anche avviene che questa contrizione talvolta possa esser perfetta nell’amore, e riconcilia l’uomo con Dio, già prima che questo sacramento realmente sia ricevuto, tuttavia questa riconciliazione non è da attribuirsi alla contrizione in sé senza il proposito di ricevere il sacramento incluso in essa.

    E dichiara anche che quella contrizione imperfetta, che vien detta ‘attrizione’ perché prodotta comunemente o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell’inferno e delle pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo non rende l’uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è addirittura un dono di Dio ed un impulso dello Spirito santo, - che non abita ancora nell’anima, ma che soltanto la sprona - da cui il penitente viene stimolato e con cui si prepara la via alla giustizia. E quantunque per sé, senza il sacramento della penitenza, sia impotente a condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sacramento della penitenza.

    Scossi, infatti, salutarmente da questo timore, gli abitanti di Ninive fecero penitenza alla predicazione di Giona, piena di minacce. Ed ottennero misericordia da Dio (255).

    Perciò falsamente alcuni accusano gli scrittori cattolici, quasi abbiano insegnato che il sacramento della penitenza conferisca la grazia senza un moto interiore, buono, di chi lo riceve: cosa che la chiesa di Dio non ha mai insegnato e mai creduto.

    Ma anche questo insegnano falsamente: che, cioè, la contrizione sia cosa estorta e forzata, non libera e volontaria.

    Capitolo V.

    La confessione.

    Dalla istituzione del sacramento della penitenza già spiegata, tutta la chiesa ha sempre creduto che sia stata istituita anche, dal Signore, la confessione completa dei peccati (256) e che per tutti quelli che dopo il battesimo siano caduti in peccato essa sia necessaria iure divino; Gesù Cristo, infatti, nostro signore, poco prima di salire dalla terra in cielo, lasciò i sacerdoti, suoi vicari (257), come capi e giudici (258), cui devono deferirsi tutte le colpe mortali, in cui i fedeli cristiani fossero caduti, perché, in virtù del potere delle chiavi, pronunzino la sentenza di remissione o di retenzione. È chiaro, infatti, che i sacerdoti non avrebbero potuto esercitare questo giudizio senza conoscere la causa né imporre le penitenze con equità, se i penitenti avessero dichiarato i loro peccati solo genericamente, e non invece, nella loro specie ed uno per uno.

    Si conclude da ciò che è necessario che i penitenti manifestino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se essi sono del tutto nascosti e sono stati commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo (259), che spesso feriscono più gravemente l’anima, e sono più pericolosi di quelli che si commettono alla luce del sole.

    I veniali, infatti, dai quali non siamo privati della grazia di Dio, e nei quali cadiamo più facilmente, benché opportunamente ed utilmente e al di fuori di ogni presunzione vengano manifestati in confessione (come dimostra l’uso di persone pie), possono tuttavia esser taciuti senza colpa ed espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti i mortali, anche solo di pensiero, rendono gli uomini figli dell’ira (260) e nemici di Dio, è anche necessario chiedere perdono di tutti a Dio con una esplicita ed umile confessione.

    Quindi, mentre i fedeli cristiani si studiano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li espongono tutti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e ne tacciono consapevolmente qualcuno, non espongono nulla alla divina bontà perché li perdoni per mezzo del sacerdote. Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non potrebbe curare quello che non conosce.

    Si deduce, inoltre, che nella confessione debbano manifestarsi anche quelle circostanze che mutano la specie del peccato: senza di esse, infatti, né il penitente espone completamente gli stessi peccati, né questi potrebbero venir conosciuti dai giudici e sarebbe impossibile ad essi percepire esattamente la gravità delle colpe ed imporre per essa ai penitenti la pena dovuta.

    Non è quindi ragionevole insegnare che queste circostanze sono state inventate da uomini oziosi o che debba confessarsi questa sola circostanza: che si è peccato contro il fratello.

    Ed è empio affermare che una tale confessione sia impossibile o chiamarla carneficina delle coscienze. Tutti sanno, infatti, che la chiesa nient’altro richiede da chi si confessa, se non di confessare - dopo che ciascuno si è diligentemente esaminato ed ha esplorato tutti gli angoli più riposti della sua coscienza - quei peccati, con cui egli si ricorda di aver offeso mortalmente il suo Signore e suo Dio; gli altri peccati, che, pur esaminandosi diligentemente, non gli vengano in mente, si ritengono inclusi genericamente nella stessa confessione. Per questi noi diciamo con fede assieme al profeta: Dai miei peccati occulti, purificami, Signore (261).

    Quanto poi alla difficoltà di questa confessione e alla vergogna di dover manifestare i peccati, può sembrare certamente grave; ma essa è alleggerita dai tanti e così grandi vantaggi e consolazioni, che con l’assoluzione vengono certissimamente elargiti a tutti quelli che si accostano degnamente a questo sacramento.

    Del resto, per quanto riguarda il modo di confessarsi segretamente dinanzi al solo sacerdote, quantunque Cristo non abbia proibito che uno, in punizione dei suoi peccati e per propria umiliazione, sia come esempio per gli altri, che per edificazione della Chiesa, che è stata offesa, possa confessare pubblicamente i suoi peccati, ciò non è comandato da alcuna legge divina; e non sarebbe saggio comandare con una legge umana che si manifestassero le colpe, specie se segrete, con una pubblica confessione.

    Poiché, quindi, la confessione sacramentale segreta, che la santa chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa ancora, è stata sempre raccomandata con grande, unanime consenso dai padri più santi e più antichi, evidentemente risulta vana la calunnia di coloro che non hanno scrupolo di insegnare che essa è aliena dal comando divino, che è invenzione umana, e che ha avuto inizio dai padri del concilio Lateranense. La chiesa, infatti, col concilio Lateranense non ha stabilito che i fedeli cristiani si confessassero, - cosa che essa sapeva bene essere necessaria ed essere stata istituita dal diritto divino -, ma che l’obbligo della confessione venisse adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e singoli quelli che fossero giunti all’età della ragione (262).

    È per questo che in tutta la chiesa è invalso l’uso salutare, con grandissimo frutto per le anime, di confessarsi durante il tempo sacro e sommamente accetto della Quaresima. Quest’uso, il santo sinodo lo approva sommamente e lo abbraccia come pio e degno di essere conservato.

    Capitolo VI.

    Del ministro di questo sacramento e dell’assoluzione.

    Quanto al ministro di questo sacramento, il santo sinodo dichiara, che sono false e del tutto aliene dalla verità del vangelo tutte quelle dottrine che estendono perniciosamente a qualsiasi altro uomo, oltre i vescovi e i sacerdoti, il ministero delle chiavi. Esse ritengono che quelle parole del Signore: Tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (263) e: a quelli, di cui avrete rimesso i peccati, saranno rimessi, a quelli, di cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti (264) siano state dette a tutti i fedeli del Cristo, senza differenza alcuna e senza distinzione, contro l’istituzione di questo sacramento; così che ognuno abbia il potere di rimettere i peccati: quelli pubblici con la correzione, se chi viene corretto si sottomette; i segreti, attraverso una spontanea confessione, fatta a chiunque.

    Il concilio insegna pure che anche quei sacerdoti che sono in peccato mortale, per la grazia dello Spirito santo, conferita nell’ordinazione, esercitano la funzione di perdonare i peccati come ministri di Cristo e che non giudicano secondo verità quelli che sostengono che questo potere manchi ai sacerdoti cattivi.

    Quantunque, poi, l’assoluzione del sacerdote sia l’elargizione di un beneficio che si fa ad altri, essa non è soltanto un nudo ministero di annunziare il vangelo o di dichiarare rimessi i peccati, ma come un atto giudiziario, essa è pronunciata come la sentenza di un giudice.

    Perciò il penitente non deve compiacersi tanto della sua fede, da credere che, se anche non avesse alcuna contrizione, o mancasse al sacerdote l’intenzione di agire seriamente o di assolvere, egli sia davvero assolto, dinanzi a Dio, per la sola fede. La fede, infatti, non potrebbe operare in nessun modo la remissione dei peccati e si dimostrerebbe negligentissimo della sua salvezza, chi si accorgesse che un sacerdote lo assolve per ischerzo, e non ne cercasse diligentemente un altro.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:56 pm

    Capitolo VII.

    Dei casi riservati.

    Poiché la natura e l’indole del giudizio richiede che la sentenza venga pronunziata solo sui sudditi, vi è stata sempre nella chiesa di Dio questa persuasione - e questo sinodo conferma essere verissimo - che debba essere di nessun valore quell’assoluzione che il sacerdote pronuncia su colui sul quale non abbia giurisdizione, ordinaria o delegata.

    È sembrato anche ai santissimi nostri padri essere del più grande interesse per la formazione del popolo cristiano, che alcuni peccati più orribili e più gravi venissero assolti non da chiunque, ma solo dai sommi sacerdoti. Giustamente, quindi, i pontefici massimi, in forza di quel supremo potere che è stato loro conferito su tutta la chiesa, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni casi di colpe.

    Né deve mettersi in dubbio (dato che tutto ciò che viene da Dio, è ordinato (265)) che la stessa cosa sia concessa a tutti i vescovi, ciascuno nella sua diocesi, — in edificazione, tuttavia, non in distruzione (266) — per quella autorità che è stata loro conferita sui sudditi in confronto agli altri sacerdoti inferiori, specie per quelle colpe, cui è annessa la censura di scomunica.

    È anche in armonia con l’autorità divina che questa riserva delle colpe abbia forza non solo nella vita esterna della società, ma anche dinanzi a Dio.

    E tuttavia con disposizione sommamente pia, perché nessuno a causa di ciò debba perire, si ebbe sempre cura nella chiesa di Dio, che non vi fosse alcuna riserva in punto di morte; e quindi tutti i sacerdoti possono assolvere qualsiasi penitente da qualsiasi peccato e da qualsiasi censura.

    Fuori di questo caso, però, i sacerdoti, non avendo alcun potere nei casi riservati, cerchino di persuadere i penitenti di quest’unica cosa: che per la grazia dell’assoluzione vadano dai superiori e legittimi giudici.

    Capitolo VIII.

    Della necessità e del frutto della soddisfazione.

    Finalmente, quanto alla soddisfazione - che, come fra tutte le parti della penitenza è stata sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri padri, così in questa nostra età è quella che, sotto il pretesto di una vivissima pietà, viene maggiormente presa d’assalto da coloro che mostrano certamente l’apparenza della pietà, ma ne negano la sostanza - il santo sinodo dichiara essere assolutamente falso e lontano dalla parola di Dio, che dal Signore mai venga rimessa la colpa, senza che venga completamente rimessa anche la pena. Vi sono infatti, nella sacra Scrittura, esempi chiari ed evidenti, da cui, al di fuori della divina tradizione, questo errore può essere confutato (267).

    Del resto, sembra anche conforme alla divina giustizia, che siano diversamente ammessi alla grazia divina quelli che prima del battesimo hanno peccato per ignoranza, e quelli che, una volta liberati dalla servitù del peccato e del demonio e ricevuto il dono dello Spirito santo, non hanno avuto ritegno a violare consapevolmente il tempio di Dio (268) e a contristare lo Spirito santo (269).

    Ed è conforme alla divina clemenza, che non ci vengano rimessi i peccati senza alcuna nostra soddisfazione, perché non avvenga che noi, prendendo occasione da ciò, e credendo tutti i peccati leggeri, come gente sempre pronta a recare ingiuria ed offesa allo Spirito santo (270), cadiamo in peccati più gravi, accumulando su noi la collera per il giorno dell’ira (271).

    Senza dubbio, infatti, ci trattengono molto dal peccato e quasi ci reprimono come un freno, queste pene imposte a soddisfazione e rendono assai più cauti e vigilanti i penitenti per il futuro. Sono anche una medicina per ciò che rimane del peccato e, con le azioni contrarie delle virtù, contribuiscono a togliere le cattive abitudini acquistate col mal vivere.

    Nella chiesa di Dio mai si è creduto che si potesse trovare una via più sicura per allontanare una punizione imminente da parte di Dio di quella che gli uomini pratichino queste opere di penitenza (272) con vero dolore dell’animo.

    Si aggiunge che mentre soffriamo in soddisfazione per i nostri peccati, noi diveniamo conformi a Gesù Cristo, che ha soddisfatto per i nostri peccati (273) e da cui viene ogni nostra sufficienza (274), ed abbiamo una certissima caparra che, se soffriamo insieme, insieme saremo anche glorificati (275).

    Inoltre questa soddisfazione, che noi soffriamo per i nostri peccati, non è talmente nostra, da non esserlo per mezzo di Gesù Cristo. Noi, infatti, che non possiamo nulla da noi stessi (276), col suo aiuto però possiamo tutto in Lui che ci rende forti (277). Quindi l’uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni motivo di lode è, per noi, riposto in Cristo (278), in cui viviamo (279), in cui meritiamo, in cui diamo soddisfazione, facendo degni frutti di penitenza (280), che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerti al Padre, e che per via sua sono accettati da Dio.

    I sacerdoti del Signore, quindi, secondo che suggerirà lo spirito e la prudenza, devono imporre salutari e giuste soddisfazioni, tenuto conto della qualità dei peccati, e delle possibilità dei penitenti, affinché, qualora fossero in qualche modo conniventi ai peccati e troppo indulgenti coi penitenti, imponendo leggerissime opere di penitenza per gravissime colpe, non diventino partecipi dei peccati degli altri.

    Abbiano poi dinanzi agli occhi che la soddisfazione che impongono sia non soltanto presidio per la nuova vita e medicina per la debolezza, ma anche pena e castigo per i peccati passati. Che, infatti, le chiavi dei sacerdoti siano state concesse non solo per sciogliere, ma anche per legare (281), lo credono e lo insegnano anche gli antichi padri. Non per questo tuttavia essi pensarono che il sacramento della penitenza fosse il tribunale dell’ira e delle pene. Così come nessun cattolico credette mai che da queste nostre soddisfazioni venisse oscurato, o in qualche parte diminuito il valore del merito e della soddisfazione del Signore nostro Gesù Cristo.

    Quando i novatori dimostrano di non voler comprendere ciò, essi insegnano che la vita nuova è la miglior penitenza; ma in modo tale da togliere alla soddisfazione ogni valore ed ogni utilità.

    Capitolo IX.

    Delle opere satisfattorie.

    Insegna, inoltre, questo sinodo che la larghezza della munificenza divina è così grande, che noi possiamo soddisfare presso Dio, per mezzo di Gesù Cristo, non solo con le penitenze da noi scelte spontaneamente per scontare il peccato o imposte a noi ad arbitrio del sacerdote secondo la gravità del peccato, ma anche (ed è il segno più grande dell’amore) con i flagelli temporali, da Dio inflittici e da noi accettati pazientemente.

    Dottrina sul sacramento dell’estrema unzione.

    È sembrato bene, poi, al santo sinodo aggiungere alla precedente dottrina sulla penitenza ciò che segue sul sacramento dell’estrema unzione, considerato dai padri come il perfezionamento e della penitenza e di tutta la vita cristiana, che dev’essere una perpetua penitenza.

    Come prima cosa, quindi, per quanto riguarda la sua istituzione, il concilio dichiara e insegna che il nostro clementissimo Redentore - il quale volle che fosse sempre provveduto ai suoi servi con rimedi salutari contro tutti gli assalti di tutti i nemici - come ha disposto gli aiuti più efficaci negli altri sacramenti con cui i cristiani, mentre vivono possano garantirsi contro i più gravi mali spirituali, così col sacramento dell’estrema unzione ha voluto munire la fine della vita con una fortissima difesa. Quantunque, infatti, il nostro avversario cerchi ed afferri ogni occasione per divorare le nostre anime in qualsiasi modo in tutta la vita (282), non vi è tempo, però, in cui egli impieghi tutta la sua astuzia per perderci completamente e allontanarci anche, se possibile, dalla fiducia nella divina misericordia, con maggior veemenza, di quando egli vede che è imminente la fine della vita.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:56 pm

    Capitolo I.

    L’istituzione del sacramento dell’estrema unzione.

    Questa unzione degli infermi è stata istituita come vero e proprio sacramento del nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco (283), è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore. Cade infermo qualcuno di voi? dice Chiami gli anziani della chiesa; preghino su di lui; lo ungano con olio nel nome del Signore. La preghiera della fede salverà l’infermo e il Signore lo solleverà. E se si troverà nei peccati, gli verranno perdonati (284).

    Con queste parole - come la chiesa ha imparato dalla tradizione apostolica, trasmessa di mano in mano - egli insegna la materia, la forma, il ministro proprio e l’effetto di questo salutare sacramento. La chiesa, infatti, ha inteso che la materia è l’olio benedetto dal vescovo: l’unzione, infatti, rappresenta in modo perfetto la grazia dello Spirito santo, da cui l’anima dell’ammalato viene unta invisibilmente e che la forma sono le parole: Per questa santa unzione, ecc.

    Capitolo II.

    Gli effetti di questo sacramento.

    L’efficacia e l’effetto, inoltre, di questo sacramento viene spiegata dalle parole: la preghiera della fede salverà l’infermo e il Signore lo solleverà. E se si trovasse nei peccati, gli saranno perdonati (285). Questo effetto, infatti, è la grazia dello Spirito santo, la cui unzione lava i peccati, se ve ne fossero ancora da espiare, e le conseguenze del peccato; solleva e rafforza l’anima dell’ammalato, eccitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L’infermo, sollevato da essa, sopporta più facilmente le molestie del male, e i travagli; e resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calcagno (286), e qualche volta, se giova alla salvezza dell’anima, riacquista la salute del corpo.

    Capitolo III.

    Del ministro di questo sacramento e del tempo in cui bisogna amministrarlo.

    Per quanto, poi, riguarda l’indicazione di coloro che devono ricevere e amministrare questo sacramento, anche questo è stato indicato chiaramente nelle parole predette: vi si indica, infatti, che ministri propri di questo sacramento sono i presbiteri della chiesa, nome con cui si devono intendere, in questo passo, non i più anziani o i più ragguardevoli del popolo, ma i vescovi, o i sacerdoti da essi regolarmente ordinati con l’imposizione delle mani del collegio dei sacerdoti (287).

    Si dice anche che questa unzione dev’essere fatta agli infermi, specialmente a quelli che sono ammalati tanto gravemente da dar l’impressione che siano in fin di vita: per questo si chiama il sacramento dei moribondi.

    Se gli infermi, ricevuta questa unzione, guariranno, potranno ancora usufruire dell’aiuto di questo sacramento, quando cadessero in altro simile pericolo di vita.

    Non sono, quindi, da ascoltarsi in nessun modo quelli che, contro un pensiero così aperto e chiaro dell’apostolo Giacomo, insegnano che questa unzione è un’invenzione umana o un rito ricevuto dai padri, senza che abbia né il comando di Dio, né la promessa della grazia. E così pure quelli (che dicono) che essa è già cessata, quasi che nella primitiva chiesa avesse solo lo scopo di ottenere la grazia delle guarigioni; e quelli che affermano che il rito e l’uso che la chiesa Romana osserva nell’amministrazione di questo sacramento, è in contrasto con quanto dice l’apostolo Giacomo, e che, quindi, bisogna cambiarlo. E quelli, finalmente, che dicono che questa estrema unzione può esser tranquillamente tenuta in nessun conto dai fedeli. Tutto ciò, infatti, contrasta fortissimamente con le chiare espressioni di un così grande apostolo. Del resto, la chiesa romana, madre e maestra di tutte le altre, non segue altro, nell’amministrare questa unzione (per quanto riguarda la sostanza di questo sacramento), se non quello che prescrisse S. Giacomo.

    Né il disprezzo di un così grande sacramento potrebbe aver luogo senza grande empietà e senza ingiuria dello stesso Spirito santo.

    Questo è quanto il santo concilio ecumenico professa ed insegna sui sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, e che propone a tutti i cristiani perché lo credano e lo ritengano per vero. Ed afferma che i seguenti canoni dovranno essere inviolabilmente osservati, condannando e anatematizzando per sempre quelli che affermano il contrario.

    CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELLA PENITENZA

    1. Se qualcuno dirà che nella chiesa cattolica la penitenza non è un vero e proprio sacramento istituito dal signore nostro Gesù Cristo, per riconciliare i fedeli con Dio, ogni volta che cadono nei peccati dopo il battesimo, sia anatema.

    2. Se qualcuno, confondendo i sacramenti, dirà che il sacramento della penitenza è lo stesso battesimo, quasi che questi due sacramenti non siano distinti e che perciò la penitenza non può essere chiamata la seconda tavola di salvezza, sia anatema.

    3. Se qualcuno dirà che le parole del Salvatore: Ricevete lo Spirito santo: saranno rimessi i peccati di quelli, cui li rimetterete e ritenuti a quelli cui li riterrete (288) non devono intendersi del potere di rimettere e di ritenere i peccati nel sacramento della penitenza, come sempre, fin dall’inizio, ha interpretato la chiesa cattolica, e per contraddire l’istituzione di questo sacramento, ne falsa il significato come se si trattasse del potere di predicare il vangelo, sia anatema.

    4. Se qualcuno negherà che per la remissione completa e perfetta dei peccati si richiedano, nel penitente, come materia del sacramento della penitenza, questi tre atti: la contrizione, la confessione e la soddisfazione, che sono le tre parti della penitenza o dirà che due sole sono le parti della penitenza, e cioè: i terrori indotti alla coscienza dalla conoscenza del peccato e la fede, concepita attraverso il vangelo o l’assoluzione, per cui ciascuno crede che gli sono rimessi i peccati per mezzo del Cristo, sia anatema.

    5. Se qualcuno dirà che quella contrizione, che si ottiene con l’esame, il raccoglimento, e la detestazione dei peccati — per cui uno, ripensando alla propria vita nell’amarezza della sua anima (289), riflettendo alla gravità, alla moltitudine, alla bruttezza dei suoi peccati, alla perdita della beatitudine eterna e all’essere incorso nella eterna dannazione, col proposito di una vita migliore — non è un dolore vero ed utile, che non prepara alla grazia, ma che rende l’uomo ipocrita e ancor più peccatore e che, finalmente, essa è un dolore imposto, non libero e volontario, sia anatema.

    6. Se qualcuno negherà che la confessione sacramentale sia stata istituita da Dio, o che sia necessaria per volere divino o dirà che il modo di confessarsi segretamente al solo sacerdote, come ha sempre usato ed usa la chiesa cattolica fin dall’inizio, è estraneo all’istituzione e al comando del Cristo ed invenzione umana, sia anatema.

    7. Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si abbia la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti, e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo ed anche le circostanze che mutassero la specie del peccato; o dire che la confessione è utile soltanto ad istituire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di confessare tutti i peccati, non intendono lasciar nulla alla divina misericordia, perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati veniali, sia anatema.

    8. Se qualcuno dirà che la confessione di tutti i peccati, come prescrive la chiesa cattolica, è impossibile, e che si tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire, o che ad essa non sono tenuti, una volta all’anno, tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, secondo la costituzione del grande concilio Lateranense (290) e che, perciò, bisogna persuadere i fedeli che non si confessino in tempo di quaresima, sia anatema.

    9. Se qualcuno dirà che l’assoluzione sacramentale del sacerdote non è un atto giudiziario, ma un semplice ministero di pronunciare e di dichiarare che i peccati sono stati rimessi al penitente, purché solo creda di essere stato assolto, anche nel caso che il sacerdote non lo assolva seriamente, ma per ischerzo; o dirà che non si richiede la confessione del penitente, perché il sacerdote lo possa assolvere, sia anatema.

    10. Se qualcuno dirà che i sacerdoti che sono in peccato mortale non hanno il potere di legare e di sciogliere, o che non i soli sacerdoti sono ministri dell’assoluzione, ma che a tutti i singoli i fedeli cristiani è stato detto: Qualsiasi cosa avrete legato sulla terra, sarà legata anche in cielo; e qualsiasi cosa avrete sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nel cielo (291) e: A quelli ai quali avrete rimesso i peccati, saranno perdonati, e a quelli, cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti (292) e che in virtù di queste parole ciascuno possa perdonare peccati; e cioè: i peccati pubblici con la sola riprensione, se colui che viene ripreso accetterà di buon animo; i segreti, con una confessione spontanea, sia anatema.

    11. Se qualcuno dirà che i vescovi non hanno il diritto di riservarsi dei casi, se non in ciò che riguarda la disciplina esterna e che, quindi, la riserva dei casi non impedisce che il sacerdote possa assolvere validamente dai casi riservati, sia anatema.

    12. Se qualcuno dirà che tutta la pena viene sempre rimessa da Dio insieme alla colpa, e che l’unica soddisfazione dei penitenti è la fede, con cui apprendono che Cristo ha soddisfatto per essi, sia anatema.

    13. Se qualcuno dirà che per quanto riguarda la pena temporale, non si soddisfa affatto, per i peccati, a Dio per mezzo dei meriti di Cristo con le penitenze da lui inflitte e pazientemente tollerate, o imposte dal sacerdote; e neppure con quelle che uno sceglie spontaneamente, come i digiuni, le preghiere, le elemosine, o anche altre opere di pietà; e che, perciò, la miglior penitenza è una vita nuova, sia anatema.

    14. Se qualcuno dirà che le soddisfazioni, con cui i penitenti per mezzo di Gesù Cristo cercano di riparare i peccati non sono culto di Dio, ma tradizioni umane, che oscurano la dottrina della grazia e il vero culto di Dio e lo stesso beneficio della morte del Signore, sia anatema.

    15. Se qualcuno dirà che le chiavi sono state date alla chiesa solo per sciogliere e non anche per legare e che, quindi, quando i sacerdoti impongono delle penitenze a quelli che si confessano, agiscono contro il fine delle chiavi e contro l’istituzione del Cristo e che è una finzione che, rimessa la pena eterna in virtù delle chiavi, rimanga ancora la pena temporale da scontare, sia anatema.



    CANONI SUL SACRAMENTO DELL’ESTREMA UNZIONE

    1. Se qualcuno dirà che l’estrema unzione non è un vero e proprio sacramento, istituito da nostro signore Gesù Cristo (293), e promulgato dal beato Giacomo apostolo (294), ma solo un rito tramandato dai padri o una invenzione umana, sia anatema.

    2. Se qualcuno dirà che l’unzione sacra degli infermi non conferisce la grazia, non rimette i peccati e non solleva gli infermi, ma che ormai è in disuso, quasi che un tempo sia stata solo la grazia delle guarigioni, sia anatema.

    3. Se qualcuno dirà che il rito e l’uso dell’estrema unzione, così come lo pratica la chiesa cattolica, è in contrasto con quanto afferma san Giacomo apostolo e che, quindi, deve essere cambiato e che può essere tranquillamente disprezzato dai cristiani, sia anatema.

    4. Se qualcuno dirà che i presbiteri della chiesa, che il beato Giacomo apostolo esorta ad addurre presso l’infermo per ungerlo, non sono i sacerdoti consacrati dal vescovo, ma gli anziani di ogni comunità e che perciò ministro proprio dell’estrema unzione non è solo il sacerdote, sia anatema.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 4:56 pm

    Decreto di riforma.

    Proemio.

    Poiché è ufficio proprio dei vescovi riprendere i difetti di tutti i sudditi (295), essi devono guardarsi soprattutto da questo: che, cioè, i chierici, specialmente quelli addetti alla cura delle anime, non commettano colpe e non conducano, con la loro connivenza, una vita disonesta.

    Se, infatti, permettessero che essi abbiano dei costumi perversi e corrotti, come potrebbero poi riprendere i laici dei loro vizi (296), non essere da questi confutati con la semplice osservazione che permettono che i chierici siano peggiori di loro! E con quale coraggio i sacerdoti potrebbero riprendere i laici, quando questi potrebbero rispondere tacitamente che essi hanno commesso le stesse colpe che riprendono? (297).

    Perciò i vescovi ammoniranno i loro chierici, di qualsiasi ordine siano, perché precedano il popolo loro affidato nel comportamento, nel modo di parlare, nella scienza, ricordandosi di quel detto: Siate santi, poiché io sono santo (298). E, conforme all’espressione dell’apostolo, a nessuno arrechino offesa, perché il loro ministero non venga disprezzato ed in tutto si mostrino servi di Dio (299), perché non si debba verificare, in essi, il detto del profeta: i sacerdoti di Dio contaminano le cose sante e disprezzano la legge (300).

    E perché gli stessi vescovi possano, in ciò, agire più liberamente e non debbano essere impediti, con qualsiasi pretesto, lo stesso sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, sotto la presidenza dello stesso legato e nunzi della sede apostolica, ha creduto bene stabilire e fissare i seguenti canoni.

    Canone I

    Essendo cosa più onorifica e più sicura, per chi è soggetto servire in una mansione più modesta, prestando la dovuta obbedienza ai propri superiori, che tendere, con scandalo dei superiori alla dignità dei gradi superiori, a colui, cui per qualunque motivo, - anche per un delitto occulto -, in qualsiasi modo, anche senza una sentenza giudiziaria, dal proprio ordinario fosse stato proibito di salire ai sacri ordini, o che fosse stato sospeso dagli ordini o gradi o dalle dignità ecclesiastiche, a nulla gioverà la licenza di farsi ordinare, concessa contro la volontà dell’ordinario, o la restituzione ai primitivi ordini, gradi, dignità, onori.

    Canone II

    Alcuni vescovi di chiese che si trovano tra gli infedeli, mancando di clero e di popolo cristiano, essendo quasi randagi, non avendo una sede fissa e cercando non gli interessi di Gesù Cristo, ma le pecore degli altri, senza che il pastore lo sappia, si vedono proibito da questo santo sinodo di esercitare i loro poteri di vescovi in diocesi non loro, se non con espressa licenza dell’ordinario, e solo su persone soggette allo stesso ordinario. Costoro, beffandosi della legge e disprezzandola erigono una specie di cattedra episcopale in luogo di diocesi e credono di poter insignire del carattere clericale e perfino di promuovere agli ordini sacri del presbiterato, tutti quelli che vanno ad essi, anche se non hanno le lettere dimissoriali dei loro vescovi o dei loro superiori.

    Ne viene di conseguenza che sono ordinati proprio i meno adatti, i rozzi, gli ignoranti e quelli che dal proprio vescovo sono stati rifiutati come inadatti e indegni, quelli cioè che non sanno compiere i sacri ministeri, né amministrare nel modo dovuto i sacramenti della chiesa.

    Nessuno dei vescovi, che si dicono titolari, - anche se risiedono o si trovano ad essere in luoghi non soggetti ad alcuna diocesi, anche esenti o in qualche monastero di qualsiasi ordine -, senza il consenso espresso dell’ordinario o le lettere dimissorie, possa promuovere ad alcun ordine minore, alla prima tonsura il suddito di un altro, in forza di qualsiasi privilegio provvisoriamente concessogli di poter promuovere chiunque venisse a lui, neppure col pretesto che è suo familiare e commensale ordinario.

    Chi facesse il contrario, sia sospeso per disposizione stessa del diritto, dall’esercizio delle sue funzioni pontificali per un anno, chi poi fosse stato in tal modo promosso, sia sospeso dall’esercizio degli ordini così ricevuti fino che sembrerà al proprio ordinario.

    Canone III

    Il vescovo può sospendere dall’esercizio degli ordini ricevuti per tutto il tempo che crederà e impedire che servano all’altare o in qualcuno dei loro ordini, quei suoi chierici, specialmente se costituiti negli ordini sacri, che fossero stati promossi senza suo precedente esame e senza sue lettere dimissorie da qualsiasi autorità, anche se fossero stati giudicati adatti da colui dal quale sono stati ordinati, ma che egli trovasse inadatti e incapaci a celebrare i divini uffici o ad amministrare i sacramenti della chiesa.

    Canone IV

    Tutti gli ordinari locali - che devono attendere con ogni diligenza a correggere le colpe dei loro sudditi, e da cui nessun chierico in forza delle disposizioni di questo santo sinodo deve credersi tanto al sicuro, sotto pretesto di qualsiasi privilegio, da non poter esser visitato, punito e corretto secondo le sanzioni canoniche - se risiedono nelle proprie chiese, hanno la facoltà di correggere e castigare, - anche fuori della visita -, qualsiasi chierico secolare, in qualsiasi modo esente, che altrimenti sarebbe soggetto alla loro giurisdizione, per le sue colpe, per i suoi crimini e delitti, ogni volta o quando lo crederanno necessario, come delegati, in ciò, della sede apostolica. Sotto questo rispetto, a nulla gioveranno agli stessi chierici e ai loro consanguinei, cappellani, familiari, procuratori e a chiunque altro, in vista e per riguardo agli stessi esenti, le esenzioni, le dichiarazioni, le consuetudini, le sentenze, i giuramenti, gli accordi, che obbligano soltanto quelli che li hanno stipulati.

    Canone V

    Inoltre, vi è chi sotto pretesto di ricevere ingiurie e molestie varie nei propri beni, cose, diritti, ottiene che gli venga assegnato con lettere conservatorie un giudice particolare che lo difenda e protegga da queste molestie ed ingiurie, lo mantenga e lasci nel possesso o quasi possesso dei suoi beni, cose, diritti, e non permetta che abbia noie, e trae quasi sempre tali lettere, contro l’intenzione di chi le ha concesse, ad un significato perverso.

    Ora queste lettere conservatorie, qualsiasi clausola o decisione esse contengano, qualsiasi assegnazione di giudici esse abbiano, con qualsiasi altro pretesto o colore esse siano state concesse, non daranno diritto assolutamente a nessuno, di qualsiasi dignità e condizione egli sia, neppure se fosse un capitolo, di non poter essere accusato e condotto dinanzi al proprio vescovo o ad altro superiore ordinario nelle cause criminali e miste, o che non possa disporsi una inchiesta nei loro riguardi, e non si possa procedere (contro di loro), o, anche se pure dalla concessione gli competono dei diritti, non possa esser citato liberamente dinanzi al giudice ordinario proprio per questi diritti.

    Anche nelle cause civili, se egli fosse l’attore, non gli sia permesso in nessun modo condurre qualcuno in giudizio, dinanzi ai suoi giudici conservatori.

    Se poi avvenisse che nelle cause, in cui egli figura come reo, quegli che da lui è stato scelto come conservatore venisse giudicato sospetto dall’attore; o anche se fra gli stessi giudici, conservatore e ordinario, sorgesse qualche controversia sulla competenza della giurisdizione, non si proceda assolutamente nella trattazione della causa finché non si sia deciso sul sospetto o sulla competenza di giurisdizione con arbitri, eletti a norma di legge.

    Ai familiari di colui che è solito difendersi con queste lettere conservatorie, inoltre, esse non diano alcun diritto; lo daranno a due soltanto, e solo nel caso che essi vivano a suo carico. Nessuno, inoltre, potrà godere del favore di simili lettere per oltre un quinquennio. Non sarà neppure lecito ai giudici conservatori erigere un proprio tribunale.

    Nelle cause che riguardano i salari o persone poverissime rimanga in vigore il decreto di questo santo sinodo, emanato sull’argomento (301).

    Le università generali, i collegi di dotti o di scolari, i luoghi regolari, gli ospedali che sono attualmente in esercizio; le persone di queste università e collegi, luoghi ed ospedali, non devono assolutamente essere comprese in questo canone, ma devono ritenersi ed essere realmente esenti.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 5:02 pm

    Canone VI

    Anche se l’abito non fa il monaco, è necessario tuttavia che i chierici portino sempre l’abito conforme al proprio stato, così che le vesti esteriori mostrino l’interiore onestà dei costumi. D’altra parte oggi la temerità e il disprezzo della religione di alcuni è andata tanto oltre che, senza alcuna stima per il proprio onore e la propria dignità clericale, essi portano vesti da laici, anche pubblicamente, tenendo il piede in due staffe: sulle cose divine e sulle umane; perciò tutte le persone ecclesiastiche, per quanto esenti , che siano costituite negli ordini sacri o abbiano avuto dignità, personati, uffici o benefici ecclesiastici di qualsiasi natura, se, dopo essere stati ammoniti - anche con un semplice editto pubblico - dal loro vescovo, non porteranno un decente abito clericale, conforme alle esigenze del loro stato e della loro dignità e a quanto il vescovo ha ordinato e comandato, potranno e dovranno esser costretti a ciò con la sospensione dagli ordini, dall’ufficio e dal beneficio, da frutti, dai redditi e dai proventi degli stessi benefici. Se poi, corretti una volta, mancassero in ciò di nuovo, siano puniti anche con la privazione stessa di questi uffici e benefici. Il concilio inoltre rinnova ed amplia la costituzione di Clemente V, emanata nel concilio di Vienne, che comincia con la parola: Poiché... (302).

    Canone VII

    Chi ad arte e con insidie uccide il suo prossimo dev’essere allontanato dall’altare (303), chi volontariamente ha commesso un omicidio, anche se questo delitto non è stato provato attraverso un processo giudiziario e non è divenuto in nessun modo di pubblica ragione, ma è rimasto occulto, non potrà mai esser promosso ai sacri ordini e non potrà mai essergli assegnato alcun beneficio ecclesiastico, anche privo di cura d’anime. Sia escluso per sempre da qualsiasi ordine, beneficio, ufficio ecclesiastico.

    Ma se si dovesse riconoscere che l’omicidio è stato commesso non di proposito, ma per caso, o nel respingere la forza con la forza per difendersi dalla morte, per cui secondo il diritto si dovrebbe in qualche modo dispensare e ammettere anche al ministero dei sacri ordini e dell’altare e a qualsiasi beneficio e dignità, la causa è rimessa all’ordinario del luogo, o, se vi è un giusto motivo, al metropolita o al vescovo più vicino. Questi non potrà dispensare se non dopo aver preso cognizione della causa e dopo che siano state trovate vere le istanze e le testimonianze, e non altrimenti.

    Canone VIII

    Alcuni - e tra questi anche dei veri pastori che hanno proprie pecore - cercano di comandare anche al gregge degli altri e qualche volta si prendono cura talmente dei sudditi altrui, da trascurare i propri. Pertanto chiunque, anche se rivestito della dignità vescovile, abbia il privilegio di punire i chierici degli altri, per quanto possano essere rei dei delitti più gravi, non dovrà in nessun modo procedere contro chierici a lui non soggetti, specie se costituiti in sacris, se non con l’intervento del vescovo degli stessi chierici, se risiede nella sua chiesa, o di persona da designarsi dallo stesso vescovo. In caso diverso, il processo e quanto possa seguire saranno nulli.

    Canone IX

    Molto saggiamente sono state distinte diocesi e parrocchie, e a ciascun gregge sono stati assegnati propri pastori e propri rettori delle chiese inferiori, i quali abbiano cura ciascuno delle proprie pecore. Perché l’ordine ecclesiastico non sia turbato e una stessa chiesa non appartenga, in qualche modo, a due diocesi, non senza grave incomodo dei suoi sudditi, i benefici di una diocesi, anche se si trattasse di chiese parrocchiali, vicarie perpetue, o semplici benefici, o prestimoni, o porzioni prestimoniali, non vengano uniti per sempre ad un beneficio, o ad un monastero, o collegio, o anche ad un luogo pio di altra diocesi, neppure allo scopo di accrescere il culto divino, o il numero dei beneficiati, o per qualsiasi altro motivo. Con ciò questo santo sinodo interpreta il proprio decreto su queste unioni (304).

    Canone X

    I benefici abitualmente assegnati in titolo ai religiosi professi, quando, per la morte, per la rinunzia o per altro motivo di chi li ha in titolo, si rendessero vacanti, siano conferiti solo a religiosi di quell’ordine o a chi sarà assolutamente tenuto a prendere l’abito ed emettere la professione religiosa e non ad altri (perché non indossino un abito intessuto insieme di lino e di lana (305)).

    Canone XI

    I religiosi che passano da un ordine ad un altro ottengono facilmente dal loro superiore il permesso di vivere fuori del monastero. Con ciò si dà occasione di vagare qua e là e di venir meno alla professione religiosa.

    Nessun prelato, quindi, o superiore di ordine religioso qualsiasi facoltà egli abbia, può ammettere qualcuno all’abito e alla professione, se non a condizione che rimanga per sempre in convento, nello stesso ordine, al quale viene trasferito, nell’obbedienza al suo superiore. Chi è stato così trasferito sia del tutto incapace di benefici secolari, anche con cura d’anime, anche se fosse stato dei canonici regolari.

    Canone XII

    Nessuno, di qualsiasi dignità ecclesiastica o secolare possa essere, fuori del caso di chi avesse fondato e costruito ex novo una chiesa, un beneficio o una cappella, o di chi avesse dotato competentemente coi propri beni patrimoniali una chiesa (cappella ecc.) già eretta, ma priva della dote sufficiente, può o deve chiedere ed ottenere in nessuna maniera il diritto di patronato.

    Nel caso di fondazione o di dotazione, l’istituzione sia riservata al vescovo e non ad altri a lui inferiore.

    Canone XIII

    Inoltre non sia lecito al patrono, col pretesto di qualsiasi privilegio, presentare, in nessun modo, qualcuno per i benefici del suo diritto di patronato, se non al vescovo ordinario del luogo, a cui spetterebbe la provvista e l’istituzione dello stesso beneficio, se non vi fosse il privilegio.

    Diversamente, la presentazione e l’investitura che ne fosse seguita, siano e vengano considerate nulle.

    Il santo sinodo dichiara, inoltre, che nella futura sessione, già fissata per il 25 gennaio del prossimo anno 1552, col sacrificio della messa si debba trattare e discutere del sacramento dell’ordine e proseguire la materia della riforma.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 5:03 pm

    SESSIONE XV (25 gennaio 1552)

    Decreto di proroga della pubblicazione dei canoni.

    Secondo quanto fu stabilito nelle sessioni passate, questo santo concilio universale in questi giorni ha trattato con somma cura e diligenza ciò che riguarda il santissimo sacrificio della messa e il sacramento dell’ordine. Ciò perché nella sessione di oggi, secondo il suggerimento dello Spirito santo, si pubblicasse quanto era stato concluso su questi argomenti, assieme ai quattro articoli sul sacramento dell’eucarestia, rimandati a questa sessione. Si pensava che frattanto sarebbero giunti a questo sacrosanto concilio coloro che si dicono protestanti, per riguardo ai quali era stata rimandata la pubblicazione di questi articoli e ai quali era stato concesso il salvacondotto perché potessero venire qui liberamente e senza alcun ritardo.

    Ma poiché essi non sono ancora venuti e da parte loro sono state rivolte preghiere a questo santo sinodo, perché la pubblicazione, che avrebbe dovuto farsi in questo giorno, sia rimandata alla prossima sessione, lo stesso santo sinodo, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi, nella certa speranza che essi possano esser qui senz’altro molto prima di quella sessione, avendo frattanto essi ricevuto un salvacondotto in forma più ampia, nulla desiderando maggiormente che far scomparire dalla illustrissima nazione germanica ogni dissenso e scisma religioso, provvedere alla sua quiete, pace e tranquillità, pronto, se essi verranno, ad accoglierli con generosità e ad ascoltarli benignamente; nella fiducia che essi vorranno venire non per oppugnare ostinatamente la fede cattolica, ma con desiderio di conoscere la verità e (com’è degno di chi ama la verità del vangelo) adattarsi, alla fine, ai decreti e alla disciplina della santa madre chiesa; perché essi abbiano tempo non solo di venire, ma di proporre ciò che vogliono prima che giunga il giorno per pubblicare e rendere di pubblica ragione quei punti che sono stati sopra toccati, ha rimandato la seguente sessione al giorno di san Giuseppe, che sarà il 19 marzo.

    E per togliere ad essi qualsiasi motivo di ulteriore ritardo, dà e concede loro volentieri un salvacondotto, che sarà, nella sua sostanza e nel suo contenuto, quale verrà letto.

    Intanto, stabilisce e ordina che si debba trattare, nella stessa sessione, del sacramento del matrimonio, e oltre alla pubblicazione dei decreti accennati, definire questa materia; e che si debba proseguire la materia della riforma.

    Salvacondotto concesso ai protestanti tedeschi.

    Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della sede apostolica, conforme al salvacondotto concesso nella penultima sessione, ed ampliandolo secondo quanto sarà detto, dà solenne assicurazione di dare ed elargire assolutamente a tutti e singoli i sacerdoti, gli elettori, i principi, i duchi, marchesi, i conti, i baroni, i nobili, i militari, i cittadini semplici e a qualsiasi altra persona, di qualsiasi stato e condizione, o qualità, della provincia e della nazione germanica; alle città e ad altri luoghi di essa; e a tutti quegli altri ecclesiastici e secolari, specie agli appartenenti alla confessione di Augusta, che insieme ad essi verranno, o saranno mandati, o partiranno, o sono già venuti, comunque essi si chiamino o possano esser chiamati; di concedere, dunque in forza delle presenti pubblica fede e pienissima e verissima sicurezza, o salvacondotto, come lo chiamano, di venire liberamente in questa città di Trento, di rimanere, stare, dimorare in essa, di far proposte, di parlare, di trattare, esaminare, discutere con lo stesso sinodo qualsiasi argomento, di presentare liberamente, di diffondere, sia a parole che per iscritto, tutto ciò che ad essi piacerà, e qualsiasi articolo; di spiegarli, presentarli e cercare di persuaderne gli altri con le sacre scritture, con espressioni, sentenze, argomentazioni dei santi padri, e, se necessario, di rispondere anche alle obbiezioni del concilio generale, e di disputare cristianamente o di conferire caritatevolmente e senza alcun impedimento con quelli che fossero stati scelti dal concilio, senza usare in nessuna maniera schiamazzi, modi offensivi ed ingiuriosi. Ed in modo particolare, che i problemi controversi siano trattati, in questo concilio Tridentino, secondo la sacra scrittura, le tradizioni apostoliche, i legittimi concili, il consenso della chiesa cattolica e le affermazioni dei santi padri. Aggiungiamo anche che non saranno puniti per motivi religiosi o per delitti commessi o che verranno commessi contro la religione. Così che per la loro presenza non si cessi dalla celebrazione degli uffici divini, sia durante il loro viaggio, o nel venire, nel rimanere, nel ritornare in qualsiasi luogo, neppure nella stessa città di Trento; e che, concluse o non concluse queste cose, in qualsiasi momento ad essi piaccia, per volere o con l’approvazione dei loro superiori desidereranno tornare alle proprie terre, o lo desiderasse qualcuno di essi, senza alcuna opposizione, scusa, ritardo, possano subito andarsene come essi vogliono, liberamente e tranquillamente, con le loro cose, il loro onore, le loro persone sane e salve, dopo aver avvertito, naturalmente, quelli che saranno incaricati dallo stesso concilio, perché si possa opportunamente provvedere alla loro sicurezza senza inganno e senza frode.

    Il santo sinodo vuole anche che in questa pubblica dichiarazione di fede, o salvacondotto, vengano incluse - e si abbiano realmente per incluse - e siano contenute tutte quelle clausole che saranno necessarie ed opportune per la piena, efficace e sufficiente sicurezza nel viaggio, nella permanenza, nel ritorno.

    Per maggior sicurezza e per facilitare il bene della pace e della riconciliazione dichiara anche che se uno di loro (o anche più) sia nel viaggio, venendo a Trento, sia mentre dimorano lì o mentre tornano, facesse o commettesse qualche cosa di grave (che Dio non voglia!), per cui il privilegio della pubblica fede e della sicurezza, loro concesso, possa essere annullato o cancellato, il sinodo vuole e concede che quelli che fossero stati trovati colpevoli di questo delitto siano subito puniti da essi soltanto, e non da altri, con una punizione giusta, e con ammenda sufficiente, da potersi approvare e lodare da parte di questo sinodo, rimanendo intatti la forma, le condizioni, e i modi della sicurezza.

    Vuole ugualmente che se qualcuno, - uno o più che siano -, da parte del sinodo sia durante il viaggio, che durante la permanenza, o il ritorno, facesse o commettesse (che Dio non voglia!) qualche cosa di grave, per cui potesse considerarsi violato o in qualsiasi modo esser tolto il privilegio della pubblica fede e sicurezza, quelli che fossero trovati colpevoli di un simile delitto, solo dal sinodo, e non da altri, vengano subito puniti con un degno castigo e con una ammenda tale, che possa esser lodata e approvata giustamente da parte dei signori della confessione di Augusta, allora qui presenti, rimanendo intatti la forma, le condizioni, i modi del salvacondotto.

    Vuole, inoltre, il medesimo sinodo, che tutte le volte che sarà opportuno e necessario sia permesso a tutti e singoli gli ambasciatori di uscire dalla città di Trento per prendere un po’ d’aria e tornare in essa; mandare o destinare il loro o i loro incaricati in qualsiasi posto per curare i loro affari più urgenti; e ricevere gli stessi incaricati o inviati o l’incaricato e inviato, quando ad essi sembrerà opportuno, in modo tale, però, che alcuni, o qualcuno, siano loro associati dagli incaricati del concilio, perché provvedano o provveda alla loro sicurezza.

    Questo salvacondotto e queste garanzie di sicurezza dovranno valere e durare dal tempo e per il tempo in cui essi saranno presi sotto cura e difesa dello stesso sinodo e dei suoi rappresentanti e condotti fino a Trento; e per tutto il tempo della loro permanenza in questo luogo; e poi, di nuovo, - dopo che avranno avuto la debita udienza ed uno spazio di altri venti giorni, quando essi lo chiederanno, o, concessa ad essi l’udienza, il concilio comandasse loro di andarsene - con l’aiuto di Dio li riporterà da Trento fino al luogo che ciascuno riterrà come sicuro per sé, senza alcun inganno o frode.

    Esso promette e garantisce in buona fede che tutte queste disposizioni saranno inviolabilmente osservate da tutti e singoli i cristiani, da tutti i principi, sia ecclesiastici che secolari, di qualsiasi stato o condizione essi siano o con qualsiasi nome siano indicati.

    Esclusa, inoltre, qualsiasi frode ed inganno, con la più sincera buona fede promette che il sinodo non cercherà alcuna occasione, palesemente o di nascosto, e non farà uso, in nessun modo, della sua autorità, del suo potere, di qualche suo diritto o statuto o privilegio di leggi e canoni o di qualsiasi concilio, specie quelli di Costanza e di Siena, che possa riuscire di qualche pregiudizio a questa fede pubblica, a questa solenne assicurazione e alla pubblica e libera udienza; e non permetterà che alcuno se ne serva, derogando per questa volta a tutte quelle disposizioni.

    Che se il santo sinodo o qualche suo membro, o qualcuno della sua parte, di qualunque condizione, stato, preminenza, violerà (che Dio, però, voglia degnarsi di tener lontano questa eventualità) in qualsiasi punto e clausola la forma e il modo della assicurazione del salvacondotto ora recitato senza che ne sia seguita immediatamente la dovuta ammenda, da approvarsi e da lodarsi giustamente secondo il loro giudizio, ritengano pure - e potranno ritenere davvero - che il sinodo è incorso in tutte quelle pene, nelle quali secondo il diritto divino e umano o la consuetudine, possono incorrere i violatori di questi salvacondotti, senza scuse e senza che, in ciò, si possa opporre alcunché.
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    Messaggio  Stephanos Lun Giu 30, 2008 5:03 pm

    SESSIONE XVI (21 aprile 1552)

    Decreto di sospensione del concilio.

    Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Sebastiano, arcivescovo di Siponto, e Luigi, vescovo di Verona, nunzi apostolici, a nome sia loro proprio che del reverendissimo ed illustrissimo signore Marcello Crescenzi, cardinale legato della santa chiesa romana, assente per lo stato assai cagionevole della sua salute, non dubita esser palese a tutti i cristiani come questo concilio ecumenico prima sia stato convocato e riunito a Trento da Paolo III, di felice memoria; e poi ripreso dal santissimo signore nostro Giulio III, dietro preghiera di Carlo V, augustissimo imperatore, specialmente per questo motivo: perché potesse ricondurre alla condizione originaria la religione, in più parti del mondo, e particolarmente in Germania, divisa penosamente tra tante opinioni, e correggere gli abusi e i costumi corrottissimi dei cristiani.

    A questo scopo, moltissimi padri, senza alcun riguardo alle fatiche e ai pericoli, confluirono prontamente dalle diverse regioni e già le cose procedevano speditamente e felicemente per il grande concorso dei fedeli; vi era una ben fondata speranza che quella parte di Tedeschi che aveva suscitato quelle novità sarebbe venuta al concilio e sarebbe stata così ben disposta da cedere unanimamente alle vere argomentazioni della chiesa; che, finalmente, sarebbe spuntata una certa luce sulle cose e che la cristianità, prima sconfitta e travagliata, avrebbe cominciato ad alzare il capo; quand’ecco improvvisamente sorgere tali tumulti e scoppiare tali guerre, per la scaltrezza del nemico del genere umano, che il concilio ha dovuto quasi arenarsi ed interrompere, con suo grave disappunto, il suo corso; ed ogni speranza di qualsiasi ulteriore progresso è venuta meno. E il santo sinodo era tanto lontano dal portare rimedio ai mali dei cristiani e alle loro difficoltà, che sembrava piuttosto proprio contro quanto desiderava - irritare molti, piuttosto che placarli.

    Perciò lo stesso santo sinodo, vedendo dappertutto, specie in Germania, ardere la guerra e le discordie; visto che quasi tutti i vescovi della Germania (e particolarmente i principi elettori) avevano lasciato il concilio per provvedere alle loro chiese, ha creduto bene doversi adattare a tanta necessità e tacere fino a tempi migliori, perché i padri possano tornare alle loro chiese e poterne avere cura - cosa loro impossibile ora - e non debbano consumarsi nell’ozio. Così, poiché la condizione dei tempi lo richiede, esso decide di sospendere la prosecuzione di questo concilio ecumenico Tridentino, per lo spazio di due anni (e di fatto lo sospende col presente decreto), con la clausola, però, che se le cose dovessero placarsi più presto e dovesse tornare l’antica pace (e spera proprio che, con l’aiuto di Dio ottimo massimo, ciò debba verificarsi entro uno spazio di tempo non troppo lungo), la ripresa del concilio abbia immediatamente forza, stabilità, vigore. Se poi (che Dio non voglia!) dopo questo biennio, i legittimi impedimenti, di cui abbiamo parlato, non saranno stati rimossi, la sospensione si intenda annullata non appena essi cesseranno e senza bisogno di nessuna altra convocazione, si ritenga restituito al concilio il suo antico vigore e la sua forza, tanto più che a questo decreto si aggiunge il consenso e l’autorità di sua santità e della sede apostolica.

    Nel frattempo, tuttavia, il santo sinodo esorta tutti i prìncipi cristiani e tutti i prelati, perché osservino e facciano rispettivamente osservare nei loro regni e nei loro domini e chiese, per quanto spetta loro, tutte e singole le prescrizioni che finora sono state stabilite e disposte da questo concilio ecumenico.


    --------------------------------------------------------------------------------

    Note


    201. Cfr. Mt 13, 24-30.
    202. Cfr. Gv 14, 26; 16, 13; Lc 12, 12.
    203. Cfr. Mt 19, 26; Lc 18, 27.
    204. Cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20.
    205. Cfr. I Cor 11, 24-25.
    206. I Tm 3, 15.
    207. Sal 110, 4.
    208. Cfr. Lc 22, 19; I Cor 11, 24.
    209. I Cor 11, 26.
    210. Gv 6, 58.
    211. Cfr. I Cor 11, 3; Ef 5, 23.
    212. Cfr. I Cor 1, 10.
    213. Cfr. AGOSTINO, De civitate Dei, X, 5 (CSEL 40, 452).
    214. Cfr. Mt 26, 26; Mc 14, 22; Lc 22, 19.
    215. Cfr. Rm 6, 9.
    216. Cfr. Lc 22, 19; Gv, 6, 48-59; I Cor 11, 24.
    217. Cfr. AMBROGIO, De sacr., IV, 4-5 (PL 16, 458-464).
    218. Eb 1, 6.
    219. Cfr. Mt 2, 11.
    220. Cfr. Mt 28, 17; Lc 24, 52.
    221. Cfr. bolla Transiturus di Urbano IV del 1262 che istituiva la festa del Corpus Domini.
    222. Concilio Niceno I, c. 13 (v. sopra).
    223. Concilio Lateranense IV, c. 20 (v. sopra).
    224. I Cor 11, 29.
    225. I Cor 11, 28.
    226. Gal 5, 6.
    227. Cfr. Mt 22. 11-14.
    228. Lc 1, 78.
    229. Cfr. Gv 6, 48-59.
    230. Cfr. Mt 6, 11.
    231. Cfr. Sal 77, 25.
    232. I Pt 5, 2-4; I Tm 3, 2-4; Tt 1, 7-9.
    233. Cfr. II Tm 4, 2.
    234. LEONE I, Ep. 14 ad Anast. (PL 54, 669).
    235. Cfr. GEROLAMO, Comm. in ep. ad Gal. III, 5, n. 489 (PL 26, 430); AGOSTINO, De corrept. et gr., 15, n. 46 (PL 44, 943 segg.).
    236. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 35 (V. sopra).
    237. Rm 8, 22.
    238. Cfr. I Cor 1, 10.
    239. Cfr. Fil 2, 2.
    240. Ef 2, 4.
    241. Sal 102, 14.
    242. Ez 18, 30.
    243. Lc 13, 3.
    244. At 2, 38.
    245. Gv 20, 22-23.
    246. I Cor 5, 12.
    247. Cfr. Gal 6, 10.
    248. Cfr. I Cor 12, 12-13.
    249. Cfr. Gal 3, 27.
    250. Cfr. GREGORIO NAZIANZENO, Oratio 39 in sancta lumina, n. 17 (PG 36, 355-356).
    251. Ez 18, 31.
    252. Sal 50, 6.
    253. Sal 6, 7.
    254. Is 38, 15.
    255. Cfr. Gn 3, 5.
    256. Cfr. Gc 5, 6; I Gv 1, 9; Lc 5, 14 e 17, 14.
    257. Cfr. Mt 16, 19; 18, 18; Gv 20, 23.
    258. Cfr. AMBROGIO, De Cain et Abel, II, 4 (CSEL 32/1, 391).
    259. Cfr. Es 20, 17; Dt 5, 21; Mt 5, 28.
    260. Cfr. Ef 2, 3.
    261. Sal 18, 13.
    262. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 21 (v. sopra).
    263. Mt 18, 18.
    264. Gv 20, 23.
    265. Cfr. Rm 13, 1.
    266. II Cor 10, 8; 13, 10.
    267. Cfr. Gen 3, 14-19; Nm 12, 14-15; 20, 11-12; II Re 12, 13-14.
    268. Cfr. I Cor 3, 17.
    269. Cfr. Ef 4, 30.
    270. Cfr. Eb 10, 29.
    271. Cfr. Rm 2, 5; Gc 5, 3.
    272. Cfr. Mt 3, 2 e 8; 4, 17; 11, 21.
    273. Cfr. Rm 5, 10; I Gv, 2, 1-2.
    274. Cfr. II Cor 3, 5.
    275. Cfr. Rm 8, 17.
    276. Cfr. II Cor 3, 5.
    277. Cfr. Fil 4, 13.
    278. Cfr. I Cor 1, 31; II Cor 10, 17; Gal 6, 14.
    279. Cfr. At 17, 28.
    280. Lc 3, 8; Mt 3, 8.
    281. Cfr. Mt 16, 19; 18, 18; Gv 20, 23.
    282. Cfr. I Pt 5, 8.
    283. Cfr. Mc 6, 13.
    284. Gc 5, 14-15.
    285. Gc 5, 15.
    286. Cfr. Gen 3, 15.
    287. I Tm 4, 14.
    288. Gv 20, 22-23.
    289. Cfr. Is 38, 15.
    290. Concilio Lateranense IV, c. 21 (v. sopra).
    291. Mt 18, 18.
    292. Gv 20, 23.
    293. Cfr. Mc 6, 13.
    294. Cfr. Gc 5, 14-15.
    295. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 7 (v. sopra).
    296. Cfr. I Cor 9, 27.
    297. Cfr. GEROLAMO, Comm. in ep. ad Titum, 1, 6 (Pl 26, 598).
    298. Lv 11, 44; 19, 2.
    299. II Cor 6, 3-4.
    300. Cfr. Ez 22, 26; Sof 3, 4.
    301. Cfr. Sessione VII, c. 14 de ref. (v. sopra).
    302. Concilio di Vienne, c. 9 (COD, 365).
    303. Cfr. Es 21, 14.
    304. Sessione VII, c. 6 de ref. (v. sopra).
    305. Cfr. Dt 22, 11.

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