Lettera di Luigi Amicone a Repubblica, 1 marzo 2009
di Luigi Amicone
Caro direttore, la teologia di Vito Mancuso è “cattolica” quanto il “Banco di san Paolo” è di san Paolo? Quando egli propone da teologo cattolico al popolo cattolico un Concilio Vaticano III bisognerebbe anzitutto ricordare le critiche e le precauzioni confessate da Paolo VI a Jean Guitton: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa» (J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, 1985).
Fatta questa premessa, che in assenza di un chiaro pronunciamento dell’autorità ecclesiastica sulla teologia mancusiana dobbiamo per forza di cose tenere in stand by, da cattolico di strada provo a sintetizzare brutalmente perché mi pare ideologica e anche illogica la richiesta di un Concilio Vaticano III. Quanto all’ideologia: non è un’operazione neutra quella che ha fatto Vito Mancuso prendendo di peso qualche citazione della storia della Chiesa e trasferendola tout court nel presente. Per dimostrare cosa? Quanto il passato sia arretrato rispetto allo “spirito” del Concilio Vaticano II?
Ma se io prendessi anche un campione della modernità laica, chessò, un Voltaire, quanto ci metterei a trovare su Google affermazioni che oggi definiremmo razziste? Invito il lettore a fare questa semplice ricerca. Questo inficerebbe il contenuto ultimo del pensiero illuminista? Neanche per sogno. Vito Mancuso carica spesso le sue argomentazioni di citazioni teatrali e ideologiche. Intendendo per teatro e ideologia quella che Erich Auerbach chiamava “tecnica del riflettore”. E che «consiste in ciò: che di tutto un ampio discorso s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio». (E. Auerbach, Mimesis, Einaudi, Torino 1956, p. 165). Quanto alla proposta fondata sul principio di “autodeterminazione”, che secondo Mancuso (e forse anche secondo la scuola medica-teologica-filosofica di don Verzé) dovrebbe condurre la chiesa a rivedere la sua dottrina sulla “natura”.
Somigliando così tanto l’idea mancusiana di “autodeterminazione” all’idea luterana di “libero esame” trasferita dal piano teologico a quello antropologico, mi pare illogico che essa possa rientrare nell’agenda cattolica, se non come “eresia”.
D’altra parte Benedetto XVI ha appena detto, citando una poesia di John Donne (ma pure una bella canzone di Joan Baez), che “nessun uomo è un’isola”.
© Copyright Tempi, 2 marzo 2009
di Luigi Amicone
Caro direttore, la teologia di Vito Mancuso è “cattolica” quanto il “Banco di san Paolo” è di san Paolo? Quando egli propone da teologo cattolico al popolo cattolico un Concilio Vaticano III bisognerebbe anzitutto ricordare le critiche e le precauzioni confessate da Paolo VI a Jean Guitton: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa» (J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, 1985).
Fatta questa premessa, che in assenza di un chiaro pronunciamento dell’autorità ecclesiastica sulla teologia mancusiana dobbiamo per forza di cose tenere in stand by, da cattolico di strada provo a sintetizzare brutalmente perché mi pare ideologica e anche illogica la richiesta di un Concilio Vaticano III. Quanto all’ideologia: non è un’operazione neutra quella che ha fatto Vito Mancuso prendendo di peso qualche citazione della storia della Chiesa e trasferendola tout court nel presente. Per dimostrare cosa? Quanto il passato sia arretrato rispetto allo “spirito” del Concilio Vaticano II?
Ma se io prendessi anche un campione della modernità laica, chessò, un Voltaire, quanto ci metterei a trovare su Google affermazioni che oggi definiremmo razziste? Invito il lettore a fare questa semplice ricerca. Questo inficerebbe il contenuto ultimo del pensiero illuminista? Neanche per sogno. Vito Mancuso carica spesso le sue argomentazioni di citazioni teatrali e ideologiche. Intendendo per teatro e ideologia quella che Erich Auerbach chiamava “tecnica del riflettore”. E che «consiste in ciò: che di tutto un ampio discorso s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio». (E. Auerbach, Mimesis, Einaudi, Torino 1956, p. 165). Quanto alla proposta fondata sul principio di “autodeterminazione”, che secondo Mancuso (e forse anche secondo la scuola medica-teologica-filosofica di don Verzé) dovrebbe condurre la chiesa a rivedere la sua dottrina sulla “natura”.
Somigliando così tanto l’idea mancusiana di “autodeterminazione” all’idea luterana di “libero esame” trasferita dal piano teologico a quello antropologico, mi pare illogico che essa possa rientrare nell’agenda cattolica, se non come “eresia”.
D’altra parte Benedetto XVI ha appena detto, citando una poesia di John Donne (ma pure una bella canzone di Joan Baez), che “nessun uomo è un’isola”.
© Copyright Tempi, 2 marzo 2009